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[L’analisi] Il rischio povertà in Italia raggiunge il tasso più alto dal 1995

Cresce il rischio di povertà in Italia, soprattutto per i bambini e per i lavoratori e la situazione rischia di complicarsi nel 2022: secondo le tabelle Eurostat su povertà e disuguaglianza appena pubblicate, nel 2021 le persone a rischio di povertà, ovvero quelle con un reddito inferiore al 60% di quello medio disponibile, erano 11,84 milioni con una percentuale del 20,1% della popolazione, in crescita dal 20% del 2020.

Se si guarda anche all’esclusione sociale, ovvero non solo alle famiglie con un reddito inferiore al 60% di quello medio ma anche a quelle che hanno difficoltà ad avere beni e servizi come ad esempio una casa adeguatamente riscaldata e un pasto proteico ogni due giorni, e all’intensità lavorativa, le persone in difficoltà superano i 14,83 milioni pari al 25,2% della popolazione.

La situazione peggiora soprattutto per i bambini: i minori in età prescolare (under 6) a rischio di povertà sono il 26,7% del totale, in aumento dal 23,8% del 2020 con un dato che è il peggiore dal 1995.

Si tratta di 667mila bambini, solo in lieve aumento dai 660mila del 2020 ma il dato risente anche del fatto che si è ridotta la popolazione in questa fascia di età.

Se si allarga la platea anche alle famiglie a rischio di esclusione sociale, la percentuale per gli under 6 in situazione di difficoltà sale al 31,6% dal 27% del 2020.

I dati confermano che l’Italia non è un paese per giovani con le difficoltà maggiori per i bambini e per i ragazzi che si affacciano sul mercato del lavoro mentre per gli anziani il rischio di povertà si riduce (dal 16,8% al 15,6%) grazie alla tutela delle pensioni che in questi ultimi anni di bassa inflazione hanno difeso i redditi.

La situazione sarà più complicata nel 2022 con i redditi fissi che saranno falciati in termini reali dall’aumento dei prezzi. Eurostat segnala anche l’aumento della povertà lavorativa nel nostro Paese. I lavoratori che pur occupati sono a rischio di povertà tra i 18 e i 64 anni sono l’11,7%, in aumento rispetto al 10,8% del 2020.

La percentuale sale più velocemente nella fascia più giovane con il 15,3% per i lavoratori tra i 18 e i 24 anni a rischio di povertà a fronte del 12,7% del 2020. Sono meno a rischio povertà i dipendenti (9,9% comunque in aumento rispetto al 9,3% del 2020 e con la percentuale più alta dopo la Spagna) rispetto agli indipendenti (al 18,1% dal 16,5% del 2020).

Sono in difficoltà soprattutto gli occupati con un contratto a termine (dal 15,4% al 21,5% a rischio di povertà) ma anche quelli con un contratto a tempo indeterminato (dal 7,7% del totale nel 2020 all’8,1% nel 2021).

È a rischio di povertà soprattutto chi ha un contratto part time (il 20% del totale a fronte del 16,3% del 2020) rispetto a chi ha un contratto a tempo pieno (in aumento comunque dal 9,6% al 10,1%).

In assenza di trasferimenti sociali (come ad esempio il reddito di cittadinanza) la quota complessiva di rischio di povertà sarebbe stata del 28,5%, in aumento dal 25,3% del 2020. E questo si evidenzia anche guardando alla distribuzione del reddito.

Le classi che segnalano peggioramenti sono quelle medie mentre registrano aumenti di quota di reddito il primo decile (quello più povero), passato dal 2,2% dei redditi al 2,3% e l’ultimo (quello con redditi più alti) passato dal 24,5% al 24,9% dei redditi.

“Il mercato del lavoro italiano – ha detto il presidente del Consiglio, Mario Draghi al Meeting di Rimini ricordando che il tasso di occupazione è salito toccando i valori massimi dal 1977 – continua ad essere caratterizzato da stipendi bassi e precarietà diffusa, soprattutto tra i giovani. La pandemia e il ritorno dell’inflazione hanno colpito in modo particolarmente severo i più deboli”.

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