Con 97 prodotti alimentari stranieri su 100 che entrano nell’UE senza alcun controllo, approfittando di porti “colabrodo” come Rotterdam, occorre mettere in campo un sistema realmente efficace di controlli alle frontiere per tutelare la salute dei cittadini e difendere le imprese agroalimentari dalla concorrenza sleale che mette a rischio i record dell’agroalimentare nazionale.
È l’appello lanciato da Coldiretti nel corso dell’evento al Villaggio contadino di Bologna, con la partecipazione, tra gli altri, del presidente Ettore Prandini e del segretario generale Vincenzo Gesmundo, di Francesco Lollobrigida, Ministro dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste, Romano Prodi (Presidente, Fondazione per la Collaborazione tra i Popoli), Fabrizio Curcio, Commissario Straordinario di Governo alla ricostruzione, e Michele De Pascale, Presidente della Regione Emilia-Romagna.
Oggi in Europa, ricorda Coldiretti, si stima che appena il 3% dei prodotti che arrivano dall’estero sia sottoposto a verifiche fisiche, ovvero tese a testarne la salubrità, e non solo la documentazione allegata, con un sistema che lascia ai singoli Stati membri il compito di decidere i controlli, creando inevitabili dinamiche al ribasso. Il paradosso è che gli accordi commerciali avviati dalla Commissione UE non prevedono il principio di reciprocità, lasciando campo libero all’arrivo di prodotti che non rispettano le stesse regole imposte a italiani ed europei.
Un caso simbolo è quello dell’accordo con il Mercosur. Nei primi otto mesi del 2025 le importazioni in Italia di prodotti agroalimentari dai Paesi del blocco sudamericano sono aumentate in valore del 18%, secondo l’analisi Coldiretti su dati Istat, per un totale di 2,3 miliardi di euro, a fronte di esportazioni Made in Italy in Sudamerica di circa 284 milioni di euro (-8%), secondo l’analisi Coldiretti su dati Istat.
Dati che non solo mostrano un danno rilevante per le imprese agroalimentari italiane ed europee, ma indicano potenziali rischi anche per la salute dei consumatori. Basti pensare all’uso nei Paesi sudamericani di antibiotici e di altre sostanze come promotori della crescita negli allevamenti, o al massiccio uso di pesticidi vietati da anni in Europa.
Peraltro, il 90% dei prodotti del Sudamerica entra in Europa solo attraverso lo scalo di Rotterdam, anche quando la logistica non lo giustificherebbe. Il motivo è probabilmente che nel porto olandese c’è una totale inadeguatezza dei controlli e passa di tutto.
“Non siamo contrari per principio agli accordi di libero scambio, poiché la nostra sfida nei prossimi anni deve esser quella dell’internazionalizzazione, ma non possiamo tutelare il settore agroalimentare se non siamo in grado di far valere il principio di reciprocità. L’intesa col Mercosur è stata pensata 18 anni fa ma da allora è cambiato il mondo e l’agricoltura ha assunto un ruolo sempre più strategico. È assurdo che sia l’unico settore che rischiamo di non difendere”, ha sottolineato il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini.
“Se non sarà corretto l’accordo ha un effetto potenzialmente devastante. In primo luogo, perché parte della produzione europea, soprattutto quella delle piccole imprese, viene rimpiazzata da prodotti con standard ambientali e sociali enormemente inferiori. Esportiamo inquinamento dove le regole sono più ‘leggere’ per reimportarlo nel piatto. In secondo luogo, perché rinunciamo ai servizi che l’agricoltura europea quotidianamente restituisce ai cittadini in termini di presidio ambientale, sociale e civico. Derubricare ‘l’eccezionalismo agricolo’ a merce di scambio, ha queste conseguenze”, ha rilevato Gesmundo.
A mettere a rischio i record dell’agroalimentare nazionale ci sono anche le guerre commerciali, a partire dai dazi USA. Nei mesi iniziali di applicazione delle tariffe aggiuntive, il settore agroalimentare italiano ha già subito impatti evidenti. Ad agosto, il primo mese con il nuovo dazio del 15%, si sono registrati forti crolli per quasi tutti i prodotti alimentari italiani negli Stati Uniti: dai trasformati di pomodoro (-36%) all’olio extravergine d’oliva (-62%), secondo l’analisi Coldiretti su dati Eurostat.
Ma oltre alle perdite economiche, il pericolo è che un calo delle vendite di cibo Made in Italy apra la strada a una ulteriore proliferazione del mercato dei falsi, già particolarmente fiorente negli USA, come evidenziato dall’esposizione allestita in occasione del Villaggio con alcuni dei prodotti italiani tarocchi in vendita sul mercato a stelle e strisce.
Gli USA si piazzano in testa alla classifica dei maggiori taroccatori, con una produzione di italian sounding che ha superato i 40 miliardi in valore e che vede come prodotto di punta i formaggi. L’aumento dei prezzi degli “originali” potrebbe portare i consumatori americani a indirizzarsi su altri beni più a buon mercato, proprio a partire dai cosiddetti “italian fake”.
Secondo l’analisi della Coldiretti su dati USDA, negli USA si producono 222 milioni di chili di Parmesan, 170 milioni di chili di provolone, 23 milioni di chili di pecorino romano, oltre a quasi 40 milioni di chili di formaggi italian style di altro tipo, come il friulano. Senza dimenticare gli oltre 2 miliardi di chili di mozzarella, che portano il totale dell’italian cheese a quasi 2,7 miliardi di chili.








