Paolo Scaroni, Deputy Chairman di Rothschild Group, ha rilasciato un’intervista esclusiva al think thank magazine dell’Osservatorio “Riparte l’Italia”.
Lo stato dell’arte della transizione energetica ha rappresentato il cuore del suo intervento, con l’obiettivo di trovare un punto di equilibrio tra la sostenibilità ambientale e la ripresa economica.
L’ex numero uno di Eni ed Enel si è soffermato anche sull’opportunità rappresentata per l’Italia dai capitali del Recovery Fund, con una finestra finale sul mondo del calcio.
Di seguito l’intervista completa.
Dr. Scaroni, tra la prima e la seconda ondata di contagi il nostro Paese ha iniziato a porre le basi per avviare una ripresa economica e sociale, anche in vista degli aiuti che arriveranno dall’Europa. Quali sono secondo lei i settori principali su cui è necessario investire per far ripartire l’Italia?
«Il settore manifatturiero è quello che ha reagito meglio, le nostre esportazioni continuano a viaggiare bene, certamente continuiamo ad essere grandi attori del mondo della manifattura a livello internazionale.
Un settore in cui dobbiamo certamente investire se vogliamo far riprendere l’economia è quello delle infrastrutture, perché le infrastrutture – di cui tra l’altro abbiamo grande bisogno – hanno un effetto moltiplicatore sull’economia.
Poi c’è il terreno dell’agricoltura che a me è molto caro perché sono convinto che la nostra agricoltura possa fare molto di più, esportando i nostri prodotti nel mondo. L’unico rammarico che ho è che l’agricoltura, l’abbiamo visto proprio quest’estate, dipende molto dall’immigrazione. Abbiamo bisogno degli immigrati per raccogliere i nostri prodotti e questo mi fa pensare che forse varrebbe la pena che molti giovani italiani, invece che far la coda per avere il reddito di cittadinanza, intraprendano una attività agricola che è un’attività nobile».
A proposito di “transizione energetica”, come sarà possibile passare da una produzione di energia basata su combustibili quali il petrolio, il carbone ed in parte il nucleare ad una produzione di energia che venga da fonti rinnovabili eco compatibili? Secondo lei in quanto tempo questo potrà realizzarsi?
«Innanzitutto quando si parla di transizione energetica si parla della lotta contro l’effetto serra e contro il riscaldamento globale. Questa è una sfida planetaria e non è un tema solo italiano. Tra l’altro non si parla di inquinamento, ma di lotta all’effetto serra. La CO2 non inquina, causa l’effetto serra che è tutto un’altra cosa.
Val quindi la pena di fare il punto su dove siamo, sul processo di sostituzione di carbone, petrolio e gas con energie rinnovabili. Fotografando la situazione a dove siamo oggi, direi che siamo ancora agli inizi della transizione energetica. Basti dire che sono stati investiti più di tremila miliardi di dollari nell’eolico e nel solare e questi due settori rappresentano oggi solo il 2 per cento del consumo mondiale di energia. Dobbiamo lavorare affinché questo 2% cresca perché altrimenti non arriveremo mai a combattere il riscaldamento globale. Non arriveremo mai a quanto concordato a livello mondiale nell’accordo di Parigi del 2015, cioè di limitare l’aumento della temperatura ad un grado e mezzo. Per arrivarci dobbiamo tagliare le nostre emissioni possibilmente ai livelli del 1990.
Viene allora spontaneo domandarsi come faremo a passare dal 2% di oggi al 20, 30 o 40% che è l’obiettivo al quale dobbiamo arrivare. Non è facile perché abbiamo alcuni salti tecnologici da realizzare per arrivare lì.
Il primo salto tecnologico è relativo al solare fotovoltaico che tutti noi conosciamo. Ebbene, questa tecnologia messa a punto nel 1941 ha ormai 80 anni. E’ stata molto migliorata in termini di costi dei pannelli solari – che sono scesi in modo drammatico -, ma non è stata migliorata abbastanza per quanto riguarda l’occupazione dello spazio che richiedono i pannelli per produrre energia elettrica. Fino a quando non miglioreremo il rendimento dei pannelli fotovoltaici sarà molto difficile portare il solare a quei livelli che l’accordo di Parigi impone. In termini tecnici, parliamo di densità della produzione dell’energia rinnovabile, e lo stesso ragionamento vale anche per l’eolico, che non è ancora progredito abbastanza per realizzare i nostri obiettivi.
Un’altra area di progresso necessario riguarda le batterie, perché quando abbiamo prodotto energia da rinnovabile dobbiamo conservarla e le nostre batterie sono ancora molto inefficienti e pesanti. Costano meno, è vero, ma stivano poca energia elettrica, e quindi anche questo è un settore in cui la tecnologia degli ioni di litio, inventata nel 1973, deve fare un salto tecnologico».
L’idrogeno viene considerato il combustibile del futuro. Qual è la situazione attuale sull’idrogeno? Quali sono i suoi metodi produttivi e quali investimenti sono necessari per riuscire a vedere realizzata veramente una economia all’idrogeno?
«Possiamo considerare l’idrogeno il combustibile del futuro, ma va ricordato che non esiste libero in natura. Esiste soltanto o legato al carbonio o legato all’ossigeno. Se vogliamo estrarre l’idrogeno dal metano produciamo molta CO2 e quindi non risolviamo il problema. Dobbiamo quindi produrlo utilizzando l’elettrolisi, cioè dall’acqua, separando l’idrogeno dall’ossigeno. Questo è un processo che conosciamo da sempre e ha un alto consumo di energia elettrica. Passiamo quindi direttamente dal tema ‘idrogeno’ al tema ‘energia elettrica’. Come produciamo energia elettrica da rinnovabili per estrarre l’idrogeno dall’acqua? Ecco che torniamo al problema che ho trattato prima».
La sostenibilità ambientale avrà un ruolo determinante nella fase post Covid. Al di là del dichiarato, i grandi gruppi industriali e petroliferi investiranno davvero in energia da fonti rinnovabili?
«La transizione energetica è diventata lo slogan della politica e anche delle grandi aziende. Chiunque si occupi di energia parla di transizione energetica. I problemi che abbiamo davanti a noi sono quelli già descritti, ma vedo che tutti si affrettano, sia in politica che nelle grandi aziende, a fissare obiettivi di abbattimento delle emissioni. Su questi obiettivi, per esempio quando un’azienda promette di essere “carbon neutral” nel 2050, e lo dice solitamente l’amministratore delegato o il presidente, che nel 2050 sarà, nella migliore delle ipotesi, in pensione, tendo ad essere un po’ scettico, perché a me piace che gli obiettivi vengano fissati da chi poi debba rispondere del loro raggiungimento».
Secondo alcuni la ripresa economica in questa fase richiede un sacrificio della sostenibilità, perché onerosa. Questa contrapposizione è risolvibile?
«Non credo che esista nessuna contraddizione tra la ripresa economica e la salvaguardia dell’ambiente. Anzitutto, la salvaguardia dell’ambiente è una necessità. Anche se fosse un ostacolo alla ripresa economica, prima viene la salvaguardia dell’ambiente. Non possiamo permetterci nel 2050 di avere una temperatura media del nostro pianeta più alta di 2 gradi rispetto a quella di oggi. C’è chi ipotizza che, se non facciamo nulla, avremo addirittura 5 gradi di temperatura in più, che vorrebbe dire lo scioglimento totale dei ghiacciai e l’innalzamento delle acque dei mari. Questo genererebbe tutta una serie di catastrofi naturali che vanno ben al di là del tema di quale sarà il nostro reddito pro-capite l’anno prossimo. Quindi l’ambiente viene prima.
Io però ritengo che non ci sia alcuna contraddizione. Ci sarà piuttosto una gara tecnologica e chi saprà risolvere i problemi tecnologici intorno alle rinnovabili di cui ho parlato, vincerà anche la gara economica. E questo è un terreno su cui il nostro paese potrebbe fare da battistrada».
I soldi che arriveranno dal Recovery Fund potranno incidere sul tema della sostenibilità?
«Fino ad oggi tutti gli sforzi fatti sul terreno delle rinnovabili in Italia, quindi sul solare e sull’eolico, sono stati fatti sulla base di sovvenzioni. Tutti gli investimenti sono stati realizzati grazie a tariffe speciali che venivano concesse ai produttori di energia elettrica rinnovabile. Piano piano questi sussidi sono scesi e continuano a scendere. Tutto questo richiede efficienza, richiede costi più bassi, ma la cosa essenziale sarebbe se si riuscissero a risolvere i problemi della tecnologia che abbiamo oggi. Se nel nostro paese fossimo capaci di inventare dei pannelli fotovoltaici in grado di avere un rendimento doppio, triplo o quadruplo dei pannelli attualmente in circolazione, sarebbe una rivoluzione tecnologica non solo per l’Italia, ma per tutto il mondo.
Questi fondi, investiti in ricerca, potrebbero quindi essere molto utili per farci fare la transizione energetica».
Ci permetta un’ultima domanda sul mondo del calcio. Secondo lei è possibile applicare il concetto di sostenibilità anche alle società sportive, soprattutto in un momento di “profondo rosso” per i loro bilanci?
«Parlando in particolare della Serie A Italiana ma anche delle Serie A di tutta Europa, il mondo del calcio vive un momento drammatico, perché da un lato i ricavi precipitano perché gli stadi sono vuoti e dall’altro le sponsorship tendono a diminuire, perché lo stadio vuoto è certamente molto meno attrattivo dello stadio pieno. Anche i diritti televisivi sono in discesa piuttosto che in salita.
In parallelo i costi, che sono sostanzialmente gli stipendi dei calciatori, sono nella migliore delle ipotesi stabili, se non addirittura in salita. Con ricavi in discesa e costi crescenti, la situazione è critica.
Vedo piuttosto difficile per il mondo del calcio chiedere quei ristori che chiedono gli albergatori, piuttosto che i tassisti, perché concedere ristori a società che pagano stipendi milionari mi sembra improponibile.
Il mondo del calcio si trova quindi ad avere un bisogno reale di ristori, ma nello stesso tempo è nell’impossibilità di chiederli. La verità è che quanto prima usciamo da questa crisi sanitaria, tanto meglio sarà anche per il mondo del calcio».