“Non sono stati tagliati gli stipendi a nessuno, non abbiamo cassa integrazione” nonostante le minori entrate a causa del Covid 19.
Antepone le persone a ogni altro discorso sull’estetica e la bellezza, Barbara Jatta, dal 2017 unica donna direttore dei Musei Vaticani che vantano una storia di oltre 500 anni.
Gli inizi di questa “casa aperta” come piace definirla da papa Francesco risalgono al 1506 benché qualche nucleo straordinario di affreschi come la Cappella Niccolina risalga a qualche decina d’anni prima. In linea con Francesco, questa donna al timone dei Musei del papa, prima di parlare della bellezza e dell’arte, ragione della sua professione di storia dell’arte, necessarie alla qualità della vita, manifesta cura e attenzione per le persone che lavorano ai Musei Vaticani.
Circa mille in totale con i vari collaboratori: 760 dipendenti, 360 custodi.
Estetica e promozione umana potrebbe riassumere la funzione sociale di questi Musei unici al mondo e del suo direttore donna.
Avanti con le forme d’arte tra le più rare e uniche al mondo, ma attenzione convinta alla vita di fede che spiega magnificenza e servizio. Digitalizzazione del bello custodito e ripensamento dell’arte che può venire da un’apertura non episodica dei tesori artistici ai poveri che iniziano a trasmettere linguaggi nuovi, sensazioni imprevedibili prima di Francesco. Forse i pensieri per raccordare estetica e promozione umana Barbara Jatta li volta e rivolta quando – se triste – si ritira sulla Terrazza del Belvedere, in alto sul Nicchione della Pigna. E le sculture dell’antichità classica, i dipinti, le suppellettili preziose dei Musei diventano vive e attuali contagiate dall’esposizione dell’Amazzonia.
Da quelle immagini multimediali di una regione dilaniata ma essenziale per l’ecosistema terrestre, sale un grido che segna la necessità di cambiare strategia economica e sociale per assicurare al pianeta un futuro più umano.
E qualche idea nuova per non tornare a sedersi nelle incerte certezze anti pandemia, spunta dal Museo di musei -come lo definisce il direttore – che non è solo Cappella Sistina, ma molto altro straordinario valore aggiunto.
Questa l’intervista esclusiva rilasciata a Ripartelitalia.it da Barbara Jatta.
L’arte, la bellezza sono un lusso o un bisogno?
Assolutamente un bisogno. Assolutamente non un lusso. La bellezza più che l’arte. Ieri è uscita una recensione a un libro importante di Irene Baldriga, professoressa della Sapienza. Una recensione del volume Estetica della cittadinanza – per una nuova educazione civica. Quale ruolo della bellezza? Chi è il cittadino estetico? Uno che sa ben interagire tra i valori della natura e i valori della bellezza, dell’arte creati dall’uomo. Non è un lusso, dovrebbe essere parte dell’educazione civica. E chiunque dovrebbe avere gli strumenti per poterla leggere questa bellezza. Sono in molti che già ne dispongono.
La fruizione della bellezza ha senso anche in una situazione di crisi sanitaria, di crisi economica e sociale come l’attuale?
Forse lo è ancor più di prima, in una situazione definita e considerata normale. Ma poi, cosa è la normalità? Quello, però, che posso dire è che nei momenti di crisi, come quella attraversata nei mesi scorsi, ci siamo resi conto di un ancor più diffuso desiderio di bellezza. Che non vuol dire estraneazione e fuga dai problemi, quanto piuttosto scovare nel quotidiano qualcosa di positivo, di bello. E’ lo stesso Platone a dirci che dal bello può venire una democrazia migliore, può venire una società migliore. Nel corso del tempo filosofi, pensatori e anche uomini di fede hanno maturato analogo pensiero.
Lo stesso papa Francesco nella Laudato si’ con la linea “pulchritudinis” lo sottolinea. Nei momenti di difficoltà vale ancora di più. Le faccio un esempio banale. Gli accessi che noi abbiamo avuto al web e ai nostri canali You Tube hanno registrato dei picchi enormi. Sono stati più di 4,5 mln negli ultimi cinque mesi e i picchi più alti li abbiamo registrati nei mesi scorsi di marzo e aprile. Già a maggio la situazione del Covid 19 andava migliorando e questi picchi sono andati scemando. Soprattutto è stato virtuale l’accesso ai nostri cataloghi online, l’accesso a delle immagini belle che la gente richiedeva non potendosi muovere. Nei momenti di crisi, di lockdown si fa ricorso al digitale. Ma nei momenti di crisi più generale si insegue il bello che è rappresentato dal bello spirituale, ma anche dal bello fisico, reale dell’arte.
Tutte le espressioni dell’arte, dal cinema, al teatro, alla musica, ai musei hanno sofferto e soffrono tuttora una crisi grave economica. Si tratta di crisi curabile o irreversibile, segno di decadenza?
Proprio per quello che abbiamo detto sulla bellezza più che una crisi in sé è una crisi di presenze fisiche e non di mancata attenzione. Paradossalmente abbiamo aumentato il livello di attenzione ai nostri musei da parte dei giovani. L’abbiamo fatto con il nostro canale social, ma lo vedo, vedo il pubblico. Le persone di una certa età girano di meno perché hanno forse più paura. Il coronavirus ha attaccato di più le persone di una certa età. I giovani sono quelli che hanno avuto meno paura e sono quelli che ci visitano di più. Ed è un bellissimo messaggio. Dovremmo abituarci – a me viene facile perché sono così di carattere, – a cercare di vedere sempre il bicchiere mezzo pieno.
La fruizione che abbiamo oggi dei musei è una fruizione bellissima. E’ chiaro che è un peccato poiché anche Francesco ci chiede di essere una casa sempre aperta e oggi siamo aperti a meno persone rispetto a prima, però siamo aperti a molti più giovani di prima e, quindi, è un modo forse di avvicinare di più delle fasce di generazioni che nel recente passato erano meno interessate. E’ chiaro che è una crisi o forse, un momento differente, un momento di passaggio.
Quale è stato il danno maggiore che il Covid 19 ha inferto ai Musei Vaticani?
Sicuramente abbiamo dovuto rivedere la nostra programmazione di restauri, la programmazione non tanto di manutenzione ordinaria e straordinaria perche quella viene sempre tenuta presente. Abbiamo dovuto rimodulare tanta attività di restauro perché abbiamo sicuramente meno introiti economici. Un problema serio non soltanto per noi, Musei Vaticani, ma anche di altri grandi e piccoli musei. Chiaramente noi avevamo un privilegio di una certa disponibilità economica che oggi ci ha portato a dover rivedere la programmazione di tante attività, di tante migliorie su tanti livelli. Ma è soltanto rimandata e va soltanto ottimizzata.
Lei è tra coloro che, pur valutando realisticamente i danni del Covid 19, ritiene che peggio della pandemia sia sprecare questo dramma come possibilità di un tempo nuovo?
Cerco di vedere il bicchiere mezzo pieno e quindi cerco di capire. Le faccio un esempio. Durante il lockdown a parte i custodi che dovevano stare a casa e venivano soltanto in un gruppo limitato per controllare i musei giornalmente,- era un gruppo limitato, su 350 custodi veniva in sede un numero irrisorio – tutti gli altri hanno continuato a lavorare da casa. I restauratori hanno lavorato sulle relazioni di restaurazioni pregresse alle quali durante il lavoro frenetico non avevano il tempo sufficiente da dedicare. Cosa hanno fatto tutti i curatori dei diversi reparti di questo museo che è un museo composto da tanti musei? Curatori e assistenti di reparto hanno anche loro lavorato online sul catalogo delle opere migliorando la parte del sito, l’offerta informatica, lavorando a dei progetti di pubblicazione con tempi diversi.
Sono assolutamente d’accordo con papa Francesco che noi abbiamo la possibilità di avere un momento di maggiore attenzione alle cose che facciamo. Quindi non necessariamente solo negativo, a parte dei morti e del dramma dei cari colpiti dal virus. Conosco delle persone che qui a Roma sono morte di Covid, negli ospedali da soli senza assistenza. Una cosa bruttissima.
L’originalità di papa Francesco rispetto alla consueta pastorale in uso nella Chiesa – richiamata dalla scelta del suo nome – in che maniera influisce anche sui Musei Vaticani?
Sta già influendo; ogni pontificato in qualche modo modifica qualcosa. Noi abbiamo implementato moltissimo il museo etnologico cui il papa ha manifestato una speciale attenzione testimoniata dalla sua presenza all’inaugurazione del nuovo allestimento e alla mostra dell’Amazzonia. E’ venuto lui stesso lo scorso 18 ottobre a inaugurarli. Il Museo Etnologico è l’espressione dell’attenzione verso culture diverse, magari minoritarie, verso l’altro, verso una forma d’arte non direttamente recepibile soltanto da noi ma da parte di tanti altri visitatori che vengono qui.
Il papa ci ha chiesto di essere una casa aperta perche ognuno possa ritrovare qui, nel centro della cristianità, parte delle radici della propria tradizione culturale, storica, artistica, di fede e di credo. Non solo l’attenzione al Museo Etnologico ma tante sono attenzioni e imput che il papa dà e ci offre rispetto ai temi dell’arte che noi chiaramente seguiamo. Anche l’attenzione che il papa dimostra come venerazione alla Salus Populi Romani che abbiamo restaurata va letta come opera devozionale, ma anche importante espressione di storia e di arte.
C’è sorpresa nel vedere la gradita accoglienza nei Musei a un tema come l’Amazzonia. Come è potuto accadere un passaggio tanto rapido dal momento pastorale proprio di un sinodo sull’Amazzonia all’attenzione della stessa tematica ambientalista da parte di Musei?
L’iniziativa è partita prima del sinodo. I missionari della Consolata ma anche i salesiani e tutte le opere missionarie radicate nell’Amazzonia avevano in animo di fare qualcosa in occasione del sinodo. Avendo noi contatti con i salesiani tramite il cardinale Giuseppe Bertello, presidente del Governatorato da cui i Musei dipendono, l’idea ci era stata proposta come bellissimo segnale di farlo, durante il sinodo, all’interno dei Musei Vaticani e non in un altro spazio.
I Musei Vaticani sono molto più visitati di qualunque altro spazio espositivo esterno. Avevamo valutato un’esposizione nel Braccio di Carlo Magno in piazza san Pietro. Ma qui nei Musei –a parte che sarebbe stato compreso nel biglietto dei Musei – era proprio il luogo per renderla ancor più accessibile e fruibile. E’ stato tanto il successo che abbiamo addirittura prorogato la mostra. Prevista sino a Pasqua doveva diventare poi mostra itinerante in altri posti, ma è rimasta qui perché era tanto l’afflusso e poi il Covid ha un po’ bloccato tutto.
L’iniziativa è partita anche un po’ dall’alto. Pensi che il cardinale Giuseppe Bertello aveva un rapporto diretto con uno dei salesiani che hanno lavorato molto nelle missioni in Amazzonia, don Coco un missionario del suo stesso paese. Quando il papa è venuto a inaugurare la mostra, presente il cardinale Bertello, si è emozionato nel vedere la tenda nella quale padre Coco dormiva in Amazzonia e che noi abbiamo esposto. Una volta tornato in Piemonte don Coco era veramente provato da una vita vissuta in una tenda in Amazzonia.
E’ chiaro che sono forme d’arte ma soprattutto forme di testimonianza di fede e di evangelizzazione che sono parte della nostra missione. Sono una storica dell’arte, ma ho molto presente quella che è la missione di questi Musei. La mostra sull’Amazzonia, ma anche tutte le altre iniziative di promozione sociale che noi facciamo, sono all’insegna di questa missione.
Con alcune iniziative, il papa ha aperto la fruizione del bello e dell’arte nei Musei Vaticani anche ai poveri. Si tratta di una prassi ormai formalizzata? Lei pensa che i poveri potrebbero trasformare la prospettiva del bello e il linguaggio che l’arte trasmette alla gente?
Non c’è dubbio. L’interazione con il nostro pubblico è fondamentale per capire chi siamo e dove vogliamo andare. Noi abbiamo collaborato con l’iniziativa multimediale sul Giudizio universale promossa in Via della Conciliazione e una serata è stata dedicata alle persone meno abbienti, gratuita. Con il cardinale Konrad Krajewski, scelto dal papa per una speciale vicinanza ai poveri e senza tetto, abbiamo aperto questo spazio e siamo andati come consulenti.
Sa cosa mi ha impressionato? Che il cardinale conoscesse personalmente tutte le persone che entravano. E’ stato un bellissimo momento di condivisione di una cosa altra, non dei Musei ma di uno spettacolo di una società privata che ha voluto mettere a disposizione un patrimonio universale dei Musei che riguardava la fede ed è stato condiviso. E come questa si sono promosse altre iniziative con il cardinale Krajewski per portare ai Musei le persone più disagiate.
E’ anche accaduto che da un mio incontro casuale sul treno di lunga percorrenza con una signora straordinaria impegnata con un carcere minorile, nel rispetto delle disposizioni di legge in materia, abbiamo invitato ai Musei questi ragazzi – molti dei quali extracomunitari – particolarmente bisognosi. Erano convinti che la Reggia di Caserta fosse il nome di un centro commerciale. Analoga iniziativa abbiamo realizzato con ragazzi di Scampia. L’incontro con questi ragazzi ha rivelato di quanta umanità può guadagnarne un centro di cultura del bello quale è ogni museo. E ha confermato la giustezza dei Musei Vaticani nel volersi aprire a fasce marginali che non hanno perso per questo la loro dignità di persone.
L’attenzione agli ultimi è una cifra presente nei papi precedenti. Chiaramente Francesco ha dato un indirizzo forte del suo pontificato, un salto visibile nelle sue scelte pastorali. In tal senso non possiamo dimenticarci che la sua prima visita apostolica lontano da Roma sia stata Lampedusa.
I Musei Vaticani non vogliono essere un luogo staccato dalla vita. Mi torna alla mente, in proposito, la straordinaria consuetudine del “caffè pagato” tuttora in uso a Napoli. Nella tradizione mantenuta che nei bar del centro quando si va a prendere un caffè, si lascia anche la somma di un altro caffè che a un cliente povero successivo sarà servito gratis perché già pagato.
Chi ha i mezzi aiuta l’altro che non può permetterselo. E’ lo stesso concetto. Se si può si deve aiutare.
Oltre la Cappella Sistina in questo Museo di musei ci sono altre opere esclusive che li rendono un patrimonio prezioso e unico al mondo?
Sono tantissime. Lo vado ripetendo spesso che la Sistina è un tesoro unico, ma non unico dei Musei Vaticani. Ogni museo compreso nei Musei ha delle sue peculiarità e caratteristiche e custodisce capolavori universali che sono veicolo di storia, di arte e di fede che in qualche modo ha contribuito a metterli insieme. Quest’anno è il quinto centenario di Raffaello. E i Musei Vaticani hanno avto qualcosa da offrire.
Il Covid ha vanificato le vostre iniziative per ricordare il quinto centenario di Raffaello?
Non ci siamo scoraggiati. Per l’occasione abbiamo realizzato un nuovo allestimento della Sala Ottava della Pinacoteca, dedicata a Raffaello. E’ uno dei luoghi che va visitato non soltanto per la presenza di grandi capolavori come la Trasfigurazione o la Madonna di Foligno, ma per l’esposizione di bellezza incredibile degli arazzi che erano stati commissionati da Leone X a Raffaello. Furono concepiti per la Sistina a completamento di quella catechesi visiva della fede cristiana che è la Cappella. Arazzi che sono ora nella sala Ottava resi splendidi da una speciale illuminazione. Rappresentano storie dell’annuncio alle genti, le storie degli apostoli Pietro e Paolo che in qualche modo sono nel concetto stesso di questi Musei attenti all’evangelizzazione.
Che hanno anche e fortissima questa missione. Ho lavorato 20 anni nella Biblioteca Apostolica Vaticana e questo indirizzo apostolico è stato sempre presente. L’indirizzo apostolico è fondamentale distintivo in una biblioteca umanistica, preziosa per lo spirito umanistico che racchiude e che la dimensione apostolica l’apre a una conoscenza molto più ampia.
Si avverte in lei l’influsso dei 20 anni passati nella Biblioteca Apostolica Vaticana. Forse anche il ricordo centenario di Raffaello sarebbe stato pensato in altro modo nei Musei?
Ho avuto l’onore e il privilegio di lavorare con 5 cardinale bibliotecari e tre prefetti della Biblioteca. Tutte persone incredibili per cultura e umanità. In particolare ricordo il cardinale Raffaele Farina. Lui ha avuto davvero l’attenzione a rendere sconfinata la possibilità di accesso alla Biblioteca. Essendo una Biblioteca chiusa di per sé a un indirizzo pubblico di massa più ancora dei musei, il cardinale Farina ha avuto l’idea importantissima di aprirla con la digitalizzazione. Ha avviato tempestivamente il progetto di digitalizzazione che ha permesso l’evangelizzazione e la conoscenza attraverso il web. E’ stato un enorme, faticosissimo e dispendiosissimo progetto di digitalizzazione che però ha permesso alla Biblioteca di arrivare ovunque nei luoghi più remoti del pianeta. Ora da qualsiasi latitudine ci sia una postazione web ci si può collegare e trovare tesori culturali, dai codici Urbinati meravigliosi di Federico di Montefeltro al codice B o ad altre testimonianze di fede dei primi secoli o di altro genere culturale.
L’esperienza della Biblioteca le ha giovato come direttore dei Musei Vaticani?
La stessa cosa l’abbiamo realizzata per ora in piccolo qui ai Musei Vaticani. Durante il lockdown abbiamo cercato di mettere a disposizione quante più opere possibili per chi non poteva venire. O per chi non potrà venire. Il nostro sito dei Musei Vaticani oggi è molto più ricco, denso di informazione, di possibilità di approfondimento e uso didattico. Volendo, si può vivere una bellissima visione su Raffaello semplicemente percorrendo il tour virtuale delle Stanze, delle opere esposte nella sala 17 e tutti i video di approfondimento che abbiamo realizzato per le celebrazioni di Raffaello. Veramente si può. Il prefetto attuale della Biblioteca, monsignor Cesare Pasini mi chiede di andare ogni anno a tenere delle lezioni di arte con le monache romite ambrosiane del Sacro Monte di Varese. Quest’anno avrei dovuto parlare di Raffaello ma il Covid ha impedito di farlo. Ho messo a disposizione delle romite i video e i link dei Musei Vaticani su Raffaello e loro lo guarderanno sul computer. La tecnologia informatica serve e come! Il nostro lavoro si è asciugato, ma con la digitalizzazione si raggiungono persone impensabili. E si può concorrere alla diffusione della bellezza e dei valori che sono dietro la bellezza. Valori di spiritualità, di pensiero.
Oltre ai poveri i Musei hanno qualche attenzione sociale speciale anche per i disabili?
In proposito abbiamo realizzato alcune iniziative in favore di ragazzi e adulti disabili. Ricordo ad esempio la mostra Divine Creature di due anni fa da un progetto ideato da Adamo Antonacci-Stranemani International, realizzato insieme a Silvia Garutti, e curata da Micol Forti.
Dopo essere stata presentata al Museo dell’Opera del Duomo di Firenze , la mostra approdava ai Musei Vaticani proponendo al pubblico dieci lavori fotografici di Leonardo Baldini, che ricreano altrettanti capolavori di arte sacra.
Le opere rivisitate spaziano dal Rinascimento all’inizio del Novecento e creano un percorso iconografico intorno alle principali tappe della vita di Gesù, dall’Annunciazione fino alla Resurrezione. Gli “attori” coinvolti per dare volto, corpo ed espressione ai personaggi del racconto sacro, sono uomini, donne, ragazzi e bambini portatori di disabilità, insieme ai loro familiari.
La ricostruzione di quadri e opere famose sulla vita di Cristo. Mi ricordano che già negli anni ottanta del secolo scorso i Musei Vaticani hanno ricevuto uno speciale premio dall’Unione Europea proprio per la speciale attenzione nei confronti dei ragazzi disabili. L’ultima iniziativa in ordine di tempo che il Covid non ha permesso di inaugurare, è il modernissimo sistema di ascensori che renderanno facile e possibile anche ai disabili la visita ai musei etrusco ed egizio finora quasi proibitivo per le rampe di scale.
L’angolo dei Musei che lei preferisce?
E’ sempre la Terrazza del Belvedere. Una parte molto in alto che abbiamo restaurato negli anni in cui sono arrivata e che non è accessibile ad oggi al pubblico, ma che offre una visione meravigliosa dall’alto non solo dei Musei ma della Città del Vaticano, di Roma e dintorni. Quando sono un po’ triste vado là.