L’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca ha messo in evidenza una linea di faglia specifica nel conflitto tra laureati ‘liberal’ e non laureati conservatori. Se avessero votato solo i non laureati, Trump avrebbe vinto virtualmente in tutti gli Stati. Questo conflitto si manifesta ovunque in maniera chiara su una delle questioni centrali dal punto di vista intellettuale: l’immigrazione. La narrativa della élite liberal (in realtà in Italia la sinistra) sostiene che il popolo ignorante voti contro i suoi interessi perché l’immigrazione è non solo utile, ma necessaria, dati i trend demografici. Di certo non mancano casi in cui gli elettori scelgono contro i propri interessi di lungo periodo per seguire leader populisti, ma su questa questione la narrativa di sinistra non è totalmente onesta.
Secondo economisti e intellettuali gli immigrati fanno crescere il PIL, forniscono servizi che non sarebbero semplicemente forniti in loro assenza o costerebbero molto di più, e soprattutto ci aiutano a pagare le pensioni. Che molti immigrati contribuiscano al PIL e svolgano lavori utili non ci sono dubbi. E va notato che, anche se gli immigrati per ragioni ovvie contribuiscono maggiormente ai problemi di ordine pubblico, l’Italia è ancora un paese con problemi relativamente piccoli da questo punto di vista, un paese oggettivamente non violento nelle comparazioni internazionali.
L’aspetto su cui gli elettori hanno però, a mio parere correttamente, subodorato che nella narrativa degli ‘esperti’ di fatto tutti di una sola parte, c’è un baco è quello che riguarda la finanza pubblica. Secondo Itinerari Previdenziali solo contribuenti con un reddito superiore a 29mila euro l’anno coprono i loro costi della sanità pubblica e se ci mettiamo il resto del welfare servono 35mila euro. Sotto queste cifre si riceve un trasferimento netto dalla finanza pubblica ed è ovvio che sia così in un sistema progressivo. Quello italiano peraltro è molto progressivo (solo nella parte bassa in realtà) per effetto della stratificazione nel tempo di innumerevoli bonus a soglia, a partire dagli 80 euro di Renzi fino ai bonus energia, che hanno stravolto la struttura della scala formale di progressività.
È evidente che pochissimi immigrati sono vicini a questa soglia. Alcune analisi degli esperti però aggiungono alle entrate anche i contributi pensionistici, dal lato delle entrate. Siccome gli immigrati contribuiscono molto oggi, ma ce ne sono pochissimi tra i pensionati, il bilancio netto su questo fronte è molto positivo. Questo significa che in effetti gli immigrati contribuiscono OGGI a pagare gi assegni dei pensionati attuali. Ma quella contribuzione configura per la collettività un debito futuro. In altri termini sono un momentaneo prestito cui fa fronte un impegno futuro. In presenza di una totale neutralità finanziaria i contributi non possono essere considerati come le imposte, ma al massimo come un prestito con interessi. Anzi per redditi bassi e/o discontinui è molto probabile che essi richiederanno una integrazione a carico delle casse statali in futuro, ulteriore spesa che si aggiunge a quella per i servizi di sopra.
In ultima analisi ci troviamo di fronte a un caso in cui forse il popolo ha una percezione un po’ più realistica degli esperti di quali siano le poste in gioco e non è poi così sorprendente che ad essere più avversi all’immigrazione siano gli strati sociali più preoccupati della sostenibilità del sistema di welfare. In realtà alcuni calcoli più realistici sono stati fatti da vari governi, ma non vengono citati spesso. Ad esempio, il Tesoro del Regno Unito ha calcolato che un immigrato con redditi relativamente bassi (ma non evasore) richiede nell’arco vitale trasferimenti pubblici impliciti superiori al milione di sterline pro-capite.
Questo non significa che non abbiamo bisogno di immigrati. Per una varietà di altre ragioni, prima fra tutte la demografia, non ne possiamo fare a meno. Ma è necessario affrontare il problema del costo e del contributo al settore pubblico in paesi in cui i servizi pubblici e di welfare costano alcune decine di migliaia di euro a testa. Ad esempio, attraverso la promozione di una immigrazione più bilanciata per titolo di studio. Una strada intelligente sarebbe quella di promuovere l’arrivo di studenti universitari da paesi emergenti attraverso canali stabili di reclutamento e una opportuna offerta formativa soprattutto da parte delle Università del Mezzogiorno. Una parte di questo processo potrebbe essere svolta dagli Atenei più grandi attraverso Convenzioni, ma può assumere valore sistemico solo se promossa dal Ministero degli Esteri con un programma apposito di certificazione dei percorsi e facilitazione degli arrivi. A queste condizioni gli immigrati futuri potrebbero essere una risorsa da tutti i punti di vista.








