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Morti per lo smog. La strage va fermata, serve una scossa | L’analisi di Luigi Balestra

«È di qualche settimana fa la notizia di un residente milanese che ha avviato un giudizio risarcitorio contro il Comune per aver contratto una patologia a livello di bronchi, faringe e narici a causa dell’inquinamento atmosferico. La portata della notizia non risiede evidentemente nella circostanza che la Corte di cassazione abbia infine stabilito – in quello che all’individuo comune appare come il ginepraio delle giurisdizioni – quale sia l’autorità giudiziaria competente a decidere sulla richiesta di risarcimento del danno (il Tribunale ordinario e non il Tribunale amministrativo regionale).

La notizia, piuttosto, consiste nell’apertura di una breccia in un muro al di là del quale si nasconde una situazione catastrofica: l’irrespirabilità dell’aria in una significativa parte del Paese, e questo per molti giorni (rectius: periodi) durante l’anno. L’inquinamento atmosferico non riguarda solo Milano, ma affligge in maniera consistente soprattutto il Nord Italia, con città come Torino che frequentemente raggiungono livelli elevatissimi. Non sono al riparo nemmeno Venezia, Bologna e tante altre città. E neppure – contrariamente a quanto si potrebbe essere portati a credere – rinomate località di montagna. Il rapporto di Legambiente Mal’Aria di città (cambio di passo cercasi) 2023 sotto questo profilo è impietoso.

Non mancano peraltro le applicazioni attraverso le quali accertare quotidianamente la qualità dell’aria. Esse, in presenza di livelli di qualità scarsi o molto scarsi (come frequentemente è dato a riscontrare), si danno carico di raccomandare l’astensione dallo svolgimento di un esercizio fisico intenso all’aperto, soprattutto da parte della popolazione a rischio. E purtuttavia la problematica sembra totalmente assente dal dibattito, il quale in questi tempi si occupa sì di cambiamento climatico, di transizione ecologica, di sostenibilità, ma elude un grande problema, localizzato soprattutto in certe zone del Paese, che richiede interventi immediati su plurimi piani.

Innanzitutto, è fondamentale dibattere. È difficile comprendere – se non evocando una deliberata volontà di sottacere un problema scomodo da affrontare – come mai, di fronte a una situazione di portata preoccupante, non solo per dimensioni territoriali ma anche per la gravità delle conseguenze che ne scaturiscono, la politica, le istituzioni, i mass media, non ne facciano l’oggetto di una delle principali questioni da trattare. Se manca il dibattito non vi sarà mai un’adeguata sensibilizzazione della popolazione; ancor più di quella che vive nelle aree maggiormente esposte.

Inoltre, ben difficilmente si concepiranno studi scientifici vòlti a rinvenirne le cause, il cui accertamento è invece fondamentale anche per elaborare rimedi efficaci. Solo per fare un esempio, il citato rapporto di Legambiente Mal’Aria di città (cambio di passo cercasi) 2023, in cui sono tra l’altro contenute una serie di proposte che, già partire dalle singole amministrazioni comunali, potrebbero essere introdotte, meriterebbe ampio risalto e visibilità da parte dei mass media.

Viene poi in considerazione il profilo della comunicazione di cui le istituzioni sono chiamate a darsi carico, e ciò al fine di veicolare un’informazione analitica onde consentire alla popolazione residente di essere messa nella condizione di adottare, in piena libertà, ogni cautela. È in gioco il fondamentale diritto alla salute, messo seriamente a repentaglio dai dilaganti fenomeni di inquinamento. Per poter essere effettivo, esso deve poter contare sulla conoscenza della reale situazione. In difetto – e al di là poi dello scatenarsi in concreto di patologie specifiche – il diritto alla salute risulterà monco in partenza, poiché vedrà sacrificata la possibilità di autodeterminarsi in modo consapevole.

Va subito detto che non mancano i rapporti e le prese di posizioni sull’argomento. La Commissione europea di recente ha pubblicato una relazione in cui, da un lato, si pongono in luce gli ingenti danni – anche in termini di perdita di vite umane – che l’inquinamento, non solo atmosferico, provoca. Dall’altro si ribadiscono gli obiettivi del piano di azione inquinamento zero. Una relazione che, come sottolinea qualche commentatore, è tuttavia passata sottotraccia.

In uno studio pubblicato recentemente sulla rivista The Lancet Planetary Health si mette in evidenza una realtà desolante: solo lo 0,0001% (meno di centomila persone) della popolazione mondiale respira aria davvero pulita. Si sottolinea per vero il miglioramento della situazione in Europa e negli Stati Uniti a seguito dell’adozione di normative più severe; purtuttavia il nord Italia, continua a proporre livelli inaccettabili di inquinamento. Se, dunque, si tratta di un problema che si pone a libello planetario, non può però negarsi che l’Italia sia tra i Paesi dell’area occidentale più colpiti. Questo impone che l’agenda interna lo faccia proprio ponendolo ai primi posti tra le questioni su cui occorre intervenire senza indugio.

Non può neppure disconoscersi che sul tema, sia pure a piccoli passi e tardivamente, ci si stia muovendo. Ad esempio, il sindaco di Milano lo scorso ottobre ha siglato a Parigi con i sindaci di undici grandi metropoli mondiali un documento nel quale ci si impegna a trasformare la città, dotandola sempre di più di zone green e con emissioni zero. Più in generale, Milano sta tentando di mettere in piedi una svolta green, così come risultata da alcuni dati – i quali palesano qualche luce ma anche ombre – recentemente pubblicati da Legambiente. Epperò l’inquinamento dell’aria è ben più grave di quanto si pensi; esso ha assunto poi una dimensione generalizzata. Si stima che in Europa esso sia causa dell’insorgenza di molteplici e gravi patologie, oltre che di circa quattrocentomila decessi prematuri, con costi sociali che sono di intuitiva evidenza.

Per affrontarlo in modo efficace, occorrerebbe farsi portatori di scelte coraggiose, come tali molto spesso impopolari, da adottarsi non già nel contesto isolato di singole città, ma guardando ad ambiti territoriali più ampi. Scelte che, solo si fosse dotati di lungimiranza, potrebbero essere guardate come forme di vero e proprio investimento. Riduzione della spesa sanitaria, aumento del benessere a livello sia individuale sia collettivo, potente stimolo verso un’innovazione tecnologica che sappia realmente interpretare la svolta green; sono solo alcuni dei benefici che ne ritrarremmo.

La politica, il cui precipuo e malcelato intendimento è quello di non urtare il consenso popolare, fa però fatica. Essa preferisce realizzare azioni a lungo termine – che assumono il sapore del programma declamato, la cui realizzazione è di fatto rinviata nel tempo e lasciata ricadere su coloro i quali subentreranno in futuro – e contraddistinte da piccoli passi. E questo nonostante il vistoso decadimento dello “stato di salute” del pianeta verificatosi in questi ultimi decenni stia assumendo i connotati dell’irreparabilità.

In un siffatto atteggiamento è dato rinvenire elementi di responsabilità che, come nel caso del nostro residente milanese, non è inverosimile conducano all’emissione di provvedimenti di condanna. È però necessario che l’intera collettività degli individui acquisti maggiore sensibilità, esprimendo movimenti di opinione che sappiano anch’essi – e molto più efficacemente di quanto non possa fare un Tribunale in un singolo giudizio – esprimere una forte disapprovazione verso questo stato di cose, nonché nei confronti del ritardo e della lentezza con cui a livello politico si sta procedendo.

I grandi mutamenti di rotta nascono sempre dal basso e s’impongono per la forza delle cose, sicché il decisore, messo di fronte all’evidenza, non può che prendere atto dell’ineludibilità dell’intervento. Ecco, è giunto il momento di dar vita a una vigorosa spinta propulsiva da parte degli individui tutti, affinché da tiepidi i decisori si trasformino in determinati e inarrestabili attori di un epocale cambiamento di impostazione».

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