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In 30 giorni in Italia i posti di letto di Rianimazione sono passati da 5300 a 9000. Ma la spending review in 5 anni ha danneggiato la sanità

Il Decreto Ministeriale n. 70 del 2015[1] nasce in realtà nel 2012 in applicazione dell’articolo 15 della Legge 135/2012, alias spending review; proprio per questo forse è stato sempre considerato un provvedimento ragionieristico che “taglierebbe” troppo, troppi ospedali e troppi posti letto.

Invece il DM 70 applicato per intero aumenta la razionalità, l’efficienza, l’efficacia e la sicurezza della assistenza ospedaliera e consente un più razionale utilizzo delle risorse specialmente umane da reinvestire nel potenziamento dei servizi territoriali.

Se invece, come è avvenuto in molte Regioni, alla possibile trasformazione dei piccoli ospedali non si accompagna una crescita dei servizi territoriali la logica conseguenza sarà la spinta a riaprire, per attività in acuzie, ciò che è stato riconvertito.

Quindi del DM 70 andrebbe prima verificata criticamente l’applicazione e poi fatto un ragionamento sulle modifiche da apportare per non fare peggiorare la qualità dell’assistenza territoriale che tutti dicono di voler potenziare.

In realtà il Decreto Ministeriale n. 70 del 2015 è stato prodotto in una situazione di emergenza ma faceva parte di un disegno relativo alla necessità di fornire un dimensionamento nazionale alle Regioni che, nell’ambito delle loro autonomie organizzative , impedisse divaricazioni eccessive nel territorio italiano; in particolare si era pensato a standard nazionali, certamente flessibili, su dimensionamento delle strutture ospedaliere e territoriali, sugli organici, sugli spazi fisici, sulle dotazioni  di tecnologie, sul dimensionamento del tempo organizzativo e del  tempo dei pazienti. Nei fatti ci si è fermati al D.M. 70 proprio perché vi era la pressione dell’urgenza finanziaria; siamo un’organizzazione affannosa dov’è le emergenze “mangiano” le importanze.

Se andiamo ora ad analizzare ciò che le Regioni hanno fatto ( certamente alcune più brillantemente di altre)  dal 2015 ad oggi per applicare il D.M. 70 vedremmo che , per esempio , quasi il 40% degli ospedali italiani hanno ancora un pronto soccorso che ha meno di 20.000 passaggi annui e poco più del 60% degli ospedali  gestisce  almeno 20.000 passaggi, standard minimo per  i Dea di I  livello; conseguentemente sono rimaste attive molti piccoli ospedali e molte strutture complesse (qualche volta mascherate da strutture semplici dipartimentali) di specialità che avrebbero dovuto essere riassorbite se si fossero rispettati i pur flessibili parametri minimi del DM 70 (ad esempio i punti nascita, le Pediatrie, le discipline chirurgiche a basso o bassissimo volume).

Il DM 70 è certamente vecchio come impostazione di quasi 10 anni e quindi deve essere rivisto, ma in modo selettivo salvandone l’impostazione generale che ancora regge e soprattutto usandolo come strumento di riorientamento delle risorse verso il territorio.

È invece in atto un tentativo che, partendo da presupposte carenze di posti letto negli ospedali, prendendo spunto dall’attuale Emergenza COVID 19, mette in discussione il DM 70 (e gli stessi parametri previsti dall’art. 15 della Legge 135/2012) per aumentare i posti letto. Si sostiene (e si legifera) che occorre aumentare i posti letto in Rianimazione, che il DM 70 avrebbe diminuito. Si osservi invece che nel 2012 essi erano in Italia 4600, mentre erano 5300 nel dicembre 2019, peraltro con occupazione del 50% circa.

I posti letto in realtà non sono un problema: lo è, piuttosto, la RIGIDITÀ organizzativa, strutturale, impiantistica, culturale ed amministrativa.

A mio avviso, non occorre aumentare i posti letto in Rianimazione in modo strutturale (cioè con organizzazione “piena per vuoto”) ma prevedere piuttosto ospedali flessibili nell’ organizzazione, negli spazi e negli impianti (elettrici, gas, tecnologie, ecc.) che consentano in pochi giorni di raddoppiare la capacità di presa in carico di Pazienti.

Mi permetto tuttavia di segnalare che in 30 giorni in Italia i posti di letto di Rianimazione sono passati da 5300 a 9000 e che ritengo questo un grande risultato, visto tra l’altro che mancavano oltre ai dispositivi di sicurezza soprattutto ventilatori e monitor, della cui produzione si era ormai delegato in gran parte il know how all’estero.

Un punto rivedibile nel DM 70 è la struttura troppo rigida come elenco di discipline previste per ciascuna tipologia di ospedale; è indispensabile immettere nel “nuovo” DM 70 la logica della organizzazione dipartimentale, per intensità di cure e quella delle reti cliniche, da non limitare a quelle tempo-dipendenti. Fissare alcuni riferimenti cogenti su questi due punti (intensità di cure e reti cliniche) è sicuramente necessario per evitare che si continuino, ad esempio, a chiamare reti aggregazioni generiche di reparti della stessa disciplina.

Per concludere, il DM 70 con le opportune correzioni può essere lo strumento per organizzare una forte discontinuità non solo dell’attività ospedaliera, ma soprattutto nella gestione dell’assistenza territoriale che possa potare ad una reale presa in carico dei pazienti in particolare dei cronici.


[1] Decreto del Ministero della Salute 2 aprile 2015, n. 70: “Regolamento recante definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all’assistenza Ospedaliera”.

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