“Torna il bipolarismo, dicono tutti, e hanno ragione.
Ma forse ‘torna’ non è il verbo giusto perché il bipolarismo dell’8 giugno 2024 è diverso da quello visto in qualche finestra del passato”.
Lo scrive Flavia Perina sulla Stampa: “Innanzitutto: lo hanno deciso gli elettori, non le classi dirigenti dei due campi, che al contrario hanno interpretato la competizione proporzionale come occasione per regolare i conti tra di loro.
Il duello Giorgia Meloni-Elly Schlein che ha polarizzato la campagna è stata la scelta di due leader in cerca di conferme.
E tutti gli altri guardavano alla prova per il motivo opposto, per indebolirle e per ottenere cose: un rimpasto sostanzioso, la riconquista di una candidatura a premier, un nuovo potere di interdizione, una superiore utilità marginale da spendere nel gioco delle maggioranze.
Insomma, ‘partitoni’ più deboli e mani più libere per gli altri.
Ma adesso – sottolinea l’editorialista – le urne hanno parlato e definito uno scenario inaspettato.
Nel governarlo, Meloni sarà senza dubbio avvantaggiata: a destra la formula bipolare è incardinata da oltre un ventennio, anche se poi ogni leader l’ha gestita come gli pareva, facendo accordi con gli avversari o sponsorizzando scissioni nelle coalizioni nemiche.
A sinistra l’aria è diversa perché il bipolarismo non è mai piaciuto più di tanto.
Tutti lo hanno sempre vissuto come una camicia di forza, l’imposizione di un’egemonia sgradevole a prescindere da chi la esercitava.
Ostilità ideologica al modello del leader unico, correntismo, diffidenza per la politica personalizzata hanno sempre fatto del capo di turno un bersaglio da abbattere.
La stessa Schlein era attesa al varco di queste elezioni e molti si erano precostituiti la polemica da lanciare un minuto dopo gli exit poll: ‘regresso verso un antagonismo identitario incoerente’, ‘tradimento della natura plurale del Pd’, azione che ‘svilisce la democrazia’.
Il fatto è che questo bipolarismo è una sorpresa, non nasce dai predellini berlusconiani o dai Comitati Prodi, non è una scelta dall’alto.
Arriva dal basso, dalla decisione (per il momento “una tantum”) degli elettorati.
Trasformarlo in un dato strutturale è il lavoro che attende entrambe le signore della politica.
Con un’avvertenza: quando a sostenere una formula sono meno della metà degli italiani, e meno del 40 per cento al Sud, è ovvio che la maggioranza del Paese si sente estranea a ogni proposta.
È – conclude – un problema non da poco”.