Professarsi liberale di questi tempi non è una scelta ovvia.
Cina e Russia sono scese da tempo sul piede di guerra contro questa dottrina e, fino almeno alle ultime elezioni appena conclusesi, la stessa India di Narendra Modi sembrava avviata lungo un preoccupante itinerario di etno-nazionalismo, immemore della battuta del grande primo ministro indiano Nehru, così consapevole del debito verso il liberalismo e lo stato di diritto britannico da esclamare: “Sono l’ultimo inglese a governare l’India!”.
Eppure qualche segno di resilienza c’è, non da ultimo perché il liberalismo è vittima del suo strepitoso successo.
Questa è in nuce la tesi del raffinato libro dell’editorialista di punta di Newsweek Fareed Zakaria, Age of Revolutions.
Progress and Backlash from 1600 to the Present (Allen Lane), che non è affatto pessimista.
L’individualismo, il grande portato delle rivoluzioni anglosassoni e protestanti che hanno scandito il trionfo dell’epopea liberale, è una condizione esistenziale allo stesso tempo liberatoria ma anche impegnativa.
Per sua stessa natura, emancipa le persone dai loro vincoli con la famiglia, la comunità, la chiesa e li proietta lungo un piano senza confini geografici e tecnologici (vedi internet), dove al singolo si chiede di scegliere il proprio destino.
Certo la globalizzazione ha portato con sé sconvolgimenti e squilibri di reddito monumentali, che hanno provocato come duro contraccolpo l’arroccarsi tribale dei singoli intorno all’identità, bestia nera del libro di Zakaria.
Il quale si definirebbe un liberal-conservatore che prova un’istintiva ripugnanza verso discorsi come quelli di Donald Trump dove all’augusta tradizione del liberalismo classico viene opposta una rozza semplificazione intorno alla coppia amico-nemico, tutta giocata su paure reali e ataviche, su pulsioni anti-immigrazione, su tirate ostili al capitale e al mercato.
A questa denigrazione del glorioso passato anglosassone, con una concessione anche al ruolo giocato nel 1600 dalle Province Unite olandesi, Zakaria risponde riproponendo passo per passo quello che per lui è un fisiologico movimento pendolare fatto di strabilianti conquiste e di reazioni oscurantiste, dove però alla fine è sempre lo spirito della libertà a trionfare.
E sfilano quindi la Gloriosa Rivoluzione inglese, la rivoluzione americana, la rivoluzione industriale e il secolo americano, con una nota liquidatoria sulla rivoluzione francese, poco condivisibile invero, perché quest’ultima si sarebbe allontanata dalla massima: le rivoluzioni maturano dal basso e non si impongono dall’alto.
Sarà anche per questa sensibilità whig che Zakaria si trova all’unisono con Joe Biden, la personificazione delle riforme condotte con prudenza.
E infatti di Biden condivide la scelta di favorire l’industria autoctona rispetto al dumping cinese come approverebbe, lo sospettiamo, la scelta di arginare l’immigrazione, onde non regalare alla destra nazionalista questo argomento polemico.
Possiamo anzi dire che in Zakaria Biden ha trovato l’ideologo di cui aveva molto bisogno, soprattutto ora che la resa dei conti con Trump si avvicina.
Ah dimenticavo: l’Europa, è riempita di complimenti per i suoi traguardi istituzionali ed economici.
Non dispiaccia a Matteo Salvini, non poco strapazzato lungo il libro insieme a Viktor Orban.
Pour cause!