Il governo accelera sul Pnrr, oggi la cabina di regia a Palazzo Chigi, e studia nuove soluzioni sul fronte previdenziale.
Anche perché è proprio su questo nodo, decisivo per i conti pubblici e la sostenibilità del bilancio, che bisogna recuperare terreno secondo le indicazioni che vengono da Bruxelles e che indicano la necessità di fare in fretta.
Ovviamente senza compromettere gli equilibri finanziari nel binario fissato dai paletti del Patto di stabilità.
In queste ore, scrive il Messaggero, sta prendendo corpo una proposta che prevede l’addio al lavoro per circa 100 mila persone (di cui un terzo in servizio nella Pa) con 41 anni di contributi a prescindere dall’età anagrafica.
Dovranno però accettare il ricalcolo del trattamento con il metodo contributivo integrale (introdotto per tutti solo dal 1996) che può ridurre l’assegno fino al 15-20 per cento.
Si tratta, va detto subito, di una opportunità, rigorosamente facoltativa, riservata ai lavoratori che, anche se ormai ad un passo dalla pensione, puntano ad anticipare, di quasi due anni l’uscita da uffici e fabbriche in deroga alla legge Fornero (pensione di vecchiaia a 67 anni più 20 di contributi e di anzianità con 42 e 10 mesi di contributi).
È in sostanza Quota 41, una soluzione molto cara alla Lega che la maggioranza, in vista della messa a punto della legge di Bilancio, è pronta ad adottare.
Anche se con un correttivo piuttosto importante rispetto all’idea di partenza.
Una Quota 41 “pura”, con il calcolo misto retributivo-contributivo costerebbe infatti 4 miliardi nel 2025 e 9 miliardi a regime: troppi soldi per le casse dello Stato e soprattutto per le strategie politiche del governo che, è bene ricordarlo, con la prossima manovra punta a investire la maggior parte delle risorse sulla conferma del cuneo fiscale e sul taglio dell’Irpef in favore dei ceti medi.
Ed è per questa ragione che la maggioranza pensa ad una modifica “leggera” ma comunque significativa.
Secondo le valutazioni del governo, come detto, solo un impianto integralmente contributivo potrebbe reggere finanziariamente.
Dunque ok, anche per venire incontro alle indicazioni di Bruxelles, ad un sistema che determina l’importo della pensione in base alla quantità di contributi versati, anziché agli ultimi stipendi incassati, come avviene con il sistema retributivo.
Al ministero dell’Economia restano comunque prudenti.
Il ministro Giancarlo Giorgetti preferirebbe la proroga di Quota 103 (uscita con tagli sugli assegni raggiungendo quella somma di contributi ed età).
E questo perché i numeri previdenziali concedono pochi margini in quanto è vero che i pensionati sono tornati a crescere lievemente nel 2023 (tanto che dati Inps indicano una spesa di 248 miliardi in crescita di ben 17 rispetto all’anno precedente) a quota 16,13 milioni ma gli occupati aumentano più rapidamente sfiorando i 23,3 milioni (oltre 400mila in più in un anno) facendo salire il rapporto tra le due grandezze a 1,44.