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Gianni Lettieri, presidente Atitech: “Il Sud ha dovuto restituire 12 miliardi all’Europa non spesi. Proposi una moratoria che salvò molte imprese. Politica e imprese abbiano fantasia e coraggio” | L’intervista

La ripartenza del Mezzogiorno, la manovra del Governo, le iniziative da sviluppare a livello Paese. Di questo e molto altro l’Osservatorio ha discusso in esclusiva con Gianni Lettieri, imprenditore e dirigente d’azienda originario di Napoli, Presidente e Amministratore Delegato di Meridie S.p.A., prima investment company del Sud Italia quotata in Borsa e di Atitech S.p.A., primo polo di manutenzioni aeronautiche del Meridione.

Leggendo il commento sulla Manovra del presidente di Confindustria Bonomi emerge un taglio molto critico, perché ha sottolineato alcuni aspetti per il Mezzogiorno, come l’assenza della proroga del credito di imposta per gli investimenti al Sud o per le Zes o per la formazione 4.0. Insomma, sembra esserci poca attenzione della Manovra per le imprese. Lei che idea si è fatto di questa Manovra?

Le osservazioni del presidente Bonomi sono condivisibili, soprattutto per quanto riguarda il Mezzogiorno, dove credo che in questo momento da parte del Governo serva più coraggio. Non ripeterei le azioni attuate dal Governo Draghi, molto concentrato sul debito, sui numeri e sul far quadrare i conti, e meno sulla reale risoluzione delle problematiche del Paese. Negli USA, in Germania e in Francia, ad esempio, le politiche economiche per uscire dalla crisi sono state fatte, eccome.

Il nostro Paese si appresta ad affrontare un momento difficile: il caro bolletta e i rincari dei costi delle materie prime creeranno non pochi problemi nelle famiglie e nelle aziende italiane. Il supporto previsto dal governo nella manovra non basterà. Abbiamo, inoltre, le più alte ripercussioni per la folle guerra tra la Russia e l’Ucraina.

Nonostante tutto rappresentiamo sempre il ‘miracolo italiano’, come ha sottolineato anche il Presidente della Repubblica Mattarella nel discorso di fine anno, perché nonostante l’instabilità dei governi italiani, la mancanza di una reale politica industriale, un debito molto alto e pochissimi aiuti alle imprese, riusciamo a sopravvivere e, in alcuni casi, rappresentiamo delle eccellenze mondiali.

Atitech ha sofferto molto a causa della pandemia, il comparto turistico è stato tra i più colpiti, ma nonostante l’assenza di ristori, siamo cresciuti. Come a noi, lo stesso è accaduto anche ad altre aziende italiane. Questo dimostra che il ‘miracolo italiano’ (che consiste nel fatto che le aziende medio piccole si salvano da sole) esiste e, probabilmente chi guida il Paese lo sa e ne approfitta.

A ciò si aggiunge l’aumento dei tassi di interesse per combattere e arginare l’inflazione, errore madornale se si considera che l’incremento dell’inflazione è dovuto dall’offerta e non dalla domanda, dall’aumento delle materie prime, dell’energia, del gas. Un alto tasso di interesse sul debito è un ulteriore aumento di costo per le aziende. Il rischio di una stagflazione è dietro le porte perché gli imprenditori tendono a limitare gli investimenti.

Non bisogna seguire la politica monetaria degli USA sugli aumenti dei tassi. Molte aziende italiane avranno difficoltà a far quadrare i bilanci a causa dei fortissimi rincari energetici e dell’aumento del costo delle materie prime in aggiunta ora l’aumento dei tassi di interesse.

Dai corpi intermedi non arrivano suggerimenti e proposte al governo per andare incontro alle imprese e alle famiglie, a partire da Confindustria che non si pronuncia, non fa proposte.

Credo che possano e debbano essere messe in campo delle azioni per aiutare le imprese, ne ho parlato anche con qualche esponente dell’attuale governo.

Si potrebbe, in primis, consentire alle imprese una dilazione sul pagamento dell’extra costo energetico. Potrebbe essere utile, inoltre, varare un decreto che consenta alle società di spalmare nei bilanci dei prossimi 5 anni (una sorta di ammortamento ) sempre gli extra costi energetici. Questa due semplici attenzione avrebbero un effetto positivo prima sulla parte finanziaria e poi sulla parte economica (bilancio).

Mi fregio di essere stato il proponente di un accordo simile con ABI, da Presidente dell’Unione degli Industriali di Napoli. Eravamo in pieno credit crunch, era il 2008, e nel corso di un’assemblea pubblica, alla quale partecipavano anche il Presidente del Consiglio e il Presidente di Confindustria nazionale di quel periodo, io suggerii di varare un decreto che concedesse  agli imprenditori una moratoria per i debiti 2008-2010. Risposero che era un decreto difficile da varare ma che era possibile prevedere un accordo direttamente con il sistema bancario, affinché le banche concedessero la dilazione che in sostanza era come se fosse nuova finanza.

Evitavano alle imprese di fallire e alle banche di portare i crediti in sofferenza. Fu così che stilai un accordo con l’ABI Campania; dopo di me anche Confindustria lo estese a livello nazionale. Sono passati 15 anni ed ancora oggi esiste la moratoria sulle rate di mutuo e sui debiti delle imprese, che ha salvato e salverà tantissime aziende. Quando ne riparlo faccio una battuta: se fossi stato un po’ egocentrico avrei potuto chiamarla ‘moratoria Lettieri’.

Complimenti, durante il covid la moratoria ha salvato tantissime imprese…

Effettivamente è così. Ricordo ancora che Enzo Boccia, all’epoca Vice Presidente Nazionale di Confindustria con la delega alla finanza e banche, mi chiamò per parlare di questa moratoria, e fu dopo il nostro incontro che decise di portarla in tutte le realtà italiane. Partì tutto da Napoli; ed è questo il motivo per cui dico agli imprenditori che si deve avere coraggio e pensare sempre alle possibili soluzioni, oltre ad analizzare il problema. Dobbiamo essere sempre positivi e propositivi.

Il PNRR dedica ampio spazio al Mezzogiorno, anche se c’è poi la polemica che i soldi messi sulla carta riescano a trasformarsi in opere concrete. Mi sembra di capire che però il suo settore è meno toccato dal PNRR. Come lo vede il PNRR per il Sud e nello specifico nel suo settore, se per lei è incisivo o meno?

Il PNRR è una grande opportunità ma può diventare un fallimento se i fondi messi a disposizione non vengono ben utilizzati. Io sono preoccupato perché ritengo che il Mezzogiorno non sia strutturato per presentare e per gestire dei progetti, e la relativa spesa. Credo che anche in questo caso il Governo e le Regioni dovrebbero fare una seria analisi della situazione dei piccoli Comuni di cui è composto il nostro Paese e capire se le strutture interne sono capaci di progettare, di spendere e di rendicontare.

La sfida nel Mezzogiorno è quella di spendere le risorse. Negli ultimi decenni il mezzogiorno ha  avuto a disposizione miliardi dall’UE ma è mancata una classe dirigente capace e attenta, zero capacità progettuale, zero capacità di spesa. Le risorse non spese sono state stornate e sono andate a beneficio di altri Paesi, quelli dell’est, concorrenti del nostro mezzogiorno.

Le risorse messe a disposizione dal PNRR sono maggiori di quelle del Piano Marshall del dopoguerra, e rappresentano una grande occasione che non possiamo perdere. È inutile intestardirsi e con orgoglio rivendicare capacità e competenze che per ora, soprattutto in piccole realtà, non abbiamo. È più utile guardare in faccia alla realtà e porre rimedio alle lacune di piccole amministrazioni dove i Sindaci non hanno né capacità progettuale né capacità di spesa per un’occasione così importante.

E per il suo settore il PNRR esiste o non esiste?

In generale non mi sembra che ci sia molta attenzione. Con la Ministra Carfagna mi sono fatto promotore di un progetto per il PNRR in Campania e, in quello che è stato approvato, c’era qualcosa anche per il nostro settore. Il problema del nostro Paese è che c’è sempre poca attenzione per l’attività industriale. Un esempio per tutti è quello di Alitalia: negli ultimi 20 anni ha bruciato miliardi per inseguire la compagnia, sbagliando perché nel frattempo hanno trascurato la parte industriale. Al contrario, io ritengo che quella parte è la più importante, perché sviluppa le attività industriali, che consente la crescita del Paese, ne rappresenta una importante infrastruttura.

Un esempio è rappresentato da Lufthansa Tecnhik, dove la parte industriale è quella che guadagna, che continua ad assumere, che si espande e che fa utili; mentre Lufthansa spesso soffre perché ha i bilanci in perdita. Alitalia Maintenance 15 anni fa aveva 5 mila dipendenti, oggi, quando io l’ho acquisita ne sono rimasti 1.200. 15 anni fa aveva shop motori, carrelli, ruote, componenti; poi, nell’ultima privatizzazione, che risale a 12 anni fa (stesso anno in cui  ho rilevato Atitech ) hanno ceduto la parte dei motori agli israeliani, i componenti ai tedeschi, i carrelli ai Francesi: hanno smantellato tutto.

Con Atitech, e grazie alla realtà che siamo riusciti a costruire, oggi riusciamo a soddisfare le richieste di manutenzioni italiane e a tenere in house le riparazioni di nostri aerei come quelli della Presidenza del Consiglio e del Presidente della Repubblica che prima venivano portati in Spagna.

I dati ci dicono che questo è un Paese a due velocità, sia nei confronti dell’occupazione che del Nord rispetto al Sud. Come si riannoda, al di là del PNRR, questa distanza, questa frattura economica fra quelli che a breve potrebbero apparire come due Paesi diversi?

Nasco a Napoli e mi sento parte integrante di questa città. Sono cresciuto qui, e qui ho iniziato a fare impresa. Prima di entrare nel settore aeronautico ho investito per molti anni nel tessile, creando imprese in Messico, negli Stati Uniti e in India. Ho lavorato in tutto il mondo ma il mio cuore è sempre in questa città. Da conoscitore della mia città, alla quale sono profondamente legato, ho maturato negli anni una mia idea, che è abbastanza critica. Come classe dirigente del Mezzogiorno abbiamo una grande responsabilità legata alla cattiva abitudine di chiedere sempre di essere aiutati dal governo nazionale per risolvere i problemi.

Al contrario dovremmo dimostrare di saper fare e di riuscire a superare i momenti di difficoltà senza chiedere ad altri; dovremmo creare una nuova classe dirigente capace, le potenzialità ci sono, ci sono giovani con grandi professionalità, lavoratori che hanno voglia di fare e che sanno fare. Solo con questi presupposti si può creare sviluppo reale e duraturo.

Bisogna smetterla di parlare di questione Mezzogiorno in questi termini che, a mio avviso, sono sbagliati. Dovremmo iniziare a discutere di un ‘problema Paese’, all’interno del quale c’è un problema mezzogiorno, non di un ‘problema Mezzogiorno’, Serve un approccio completamente diverso dal passato.

Sia il governo nazionale sia gli amministratori locali sono chiamati a ragionare con paradigmi diversi rispetto al passato: un sindaco, ad esempio, deve rendersi conto che non è solo un ‘politico’ ma è colui che deve saper gestire e governare dei meccanismi di sviluppo per il territorio.

Sul tema della sostenibilità, del cambiamento climatico e della trasformazione industriale, è un altro pericolo o un’opportunità per le aziende? Ci sono dei posti di lavoro in gioco, anche nel suo settore, ma non sono troppi cambiamenti tutti insieme?

Atitech da quest’anno ha un bilancio sociale di sostenibilità, certificato e approvato da Deloitte. Siamo la prima azienda del settore ad averlo fatto, testimoniato anche con un video di presentazione. Le criticità vanno affrontate considerandole delle opportunità. Se considero la sostenibilità come un problema, non riuscirò a cogliere le opportunità che questa tematica può darmi; al contrario, ritengo che il mio bilancio sociale e sostenibile possa essere un mio punto di vantaggio rispetto ai concorrenti.

Gli altri paesi europei si comportano in maniera diversa da noi italiani. Prima della pandemia, ad esempio, ho provato a comprare in Germania un’azienda in amministrazione straordinaria. I commissari hanno fatto una barriera così alta contro di noi, per non farci aggiudicare la società, favorendo i nostri concorrenti tedeschi, che sono stato tentato di denunciare l’accaduto all’Unione europea. Anche su questo dobbiamo fare una riflessione: siamo troppo poco attenti a mantenere in Italia le nostre aziende di bandiera, se continuiamo a dare i nostri settori importanti, come ad esempio quello bancario, in mano agli stranieri, ritengo che, nei prossimi anni, il Paese andrà in sofferenza. I gruppi Bancari stranieri in Italia vengono solo per fare raccolta dell’enorme risparmio degli Italiani per poi investire altrove.  

Lei diceva di tenere insieme il Paese e non creare un “caso Mezzogiorno”. C’è però in ballo anche un tema di modello industriale, per non perdere occasioni importanti. Il modello industriale del mezzogiorno quale deve essere? Può essere solo il turismo?

Non può essere solo il turismo, perché, da solo, non riesce a soddisfare l’intera esigenza lavorativa che c’è nel Mezzogiorno. Ci sono imprese eccellenti nel meridione, in molte regioni, come, ad esempio, in Sicilia, in Calabria; Atitech ha un’ottima reputazione nel mondo, ma ce ne sono anche tante altre.

Si riesce a fare filiera al Sud? O è più difficile rispetto ad altre zone?

È più difficile ma non impossibile. Noi lo abbiamo fatto: abbiamo presentato un progetto coinvolgendo più imprese; le Università; oggi le aziende sembrano essere più favorevoli a farsi coinvolgere rispetto a prima.

Per concludere, abbiamo come Premier una donna e questo è un bel segnale di cambiamento per il Paese. Quale suggerimento o indicazione dare per il sud e per le imprese?

È senz’altro un evento rilevante per il nostro Paese. La Meloni non ha ereditato una situazione facile e non è circondata da alleati politici con i quali è facile interfacciarsi, per cui dobbiamo darle tempo. Io credo che lei sia una persona intelligente e capace, deve avere la capacità di creare un entourage di persone serie, preparate e valide e che capiscano l’importanza di attuare una politica industriale autorevole per il nostro Paese. È l’unico modo per risolvere il problema economico e occupazionale del Paese. Questo è il consiglio che mi sento di darle.

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