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Federico Mollicone, Presidente Commissione Cultura Camera dei Deputati: “Non è vero che la destra vuole costruire una nuova egemonia culturale. A noi interessa creare nuove sintesi”

Federico Mollicone, Presidente Commissione Cultura Camera dei Deputati, è intervenuto agli Stati Generali della Ripartenza organizzati dall’Osservatorio economico e sociale Riparte l’Italia il 29 e 30 novembre 2024 a Bologna.

Ecco il suo intervento al panel centrato sul tema “E’ corretto parlare di egemonia culturale?“, moderato dal giornalista Pierangelo Sapegno.

“Quello dell’egemonia culturale è un tema storico, non solo politico, ma prima di tutto appunto culturale che attraversa non solo il novecento, ma sicuramente il novecento. Questa dicotomia che è stata presentata dall’inizio, Gramsci-Gentile, in realtà poi se andiamo a vedere non è così antinomica perché in realtà c’è da entrambe le parti una sensibilità perché in quel contesto entrambi volevano dare un punto di vista su come creare una cultura che potesse essere rappresentativa della nazione.

Gramsci dal suo punto di vista, che era il punto di vista di un oppositore a quel regime e un oppositore a quella cultura e che nei suoi scritti ne fa un tema ancora più strategico tanto è vero che poi verrà seguito in maniera pedissequa da Togliatii in poi come prassi politica e politica culturale, ma Gentile in realtà rappresentava il pensiero dominante e devo dire in quel contesto se andiamo a vedere gli scritti su Elios in particolare troviamo in maniera molto interessante che appunto anche secondo lui bisognasse affermare una cultura non elitaria ma una cultura popolare, una cultura alta ma popolare al tempo stesso.

Tanto è vero che lui era molto interessato agli studi sui costumi regionali, le culture regionali, le culture locali, avendo intuito che lì c’era quella che i tedeschi chiamavano Heimat, il focolare, il concetto del fondamento e da quello non si poteva, secondo Gentile non costruire una cultura diffusa e popolare senza occuparsi dell’educazione e senza avere delle eccellenze come poi sarà l’istituto Treccani che ricordo nacque con una fondazione di natura particolarissima per cui si muoveva con un privato ma pensava con un pubblico che aveva di fatto un’efficacia e una funzione pubblica. Cosa che peraltro noi ormai abbiamo noto che abbiamo sciolto in maniera anche unanime in Parlamento dopo tanti decenni perché abbiamo appunto approvato da poco di fatto l’istituzionalizzazione e il finanziamento ricorrente della Treccani.

In questo confronto il dopoguerra cambia tutto, inverte completamente quelle che Juncker chiamò le tempeste d’acciaio e quindi la grande guerra. Si sovvertirono le culture e per cui quella che era cultura di resistenza, di resilienza e anche proprio di alternativa diventa di fatto cultura vincente, cultura dominante e con la strategia gramsciana diventa cultura egemonica e di conquista.

Nel cinema che peraltro ricordiamo e sappiamo nasce e si diffonde in Italia grazie a Cinecittà, grazie agli investimenti che vennero fatti, per cui c’era stata l’introduzione anche lì sulla potenza del cinema. Ma è la sinistra e l’intellighenzia di sinistra che ne fa uno strumento formidabile di egemonia culturale. E poi l’editoria e poi la pittura e poi l’arte e poi le biennali e poi tutto ciò che serviva, le strutture, tutte le istituzioni culturali, il teatro, tutti i circuiti culturali che servivano a propagare questa nuova visione culturale che però era aveva un difetto dal mio punto di vista e cioè era molto orientata a Est come riferimenti culturali intellettuali e anche filosofici. E quindi al marxismo, al leninismo per cui ha una visione molto ideologica.

Per quanto riguarda la destra, la destra era l’erede di rappresentanti sia intellettuali, politici, giornalisti della società civile della destra che era la cultura che aveva perso questa egemonia passata, questa predominanza passata e diventò una cultura dei circoli, una cultura delle riviste di segmento, quasi clandestine. Ma non clandestine perché illegali, clandestine perché le leggevano in pochi salvo alcune eccezioni, riviste che soprattutto nel dopoguerra diventarono molto diffuse penso “All’uomo qualunque” di Giannini, penso al “Borghese”, penso negli anni 70 al LINEA fondata da Pino Rauti, quelle diventarono aggregatori di idee e anche direi aggregatori e anticipatori di idee di strategie culturali.

In parte è vero che la destra culturale era minoritaria ma in parte era pure vero che era ostracizzata per cui era costretta a essere minoritaria ma che nonostante questo comunque esisteva e sopravviveva in maniera catacombale. Ma non negli anni ’60 quando anzi c’era ancora una grande diffusione della presenza della destra ma più che altro negli anni ’70, negli anni di Piombo.

Lì ci fu una vera temperie di scontro e di criminalizzazione a sinistra rispetto a una cultura di destra per cui chi era di destra non poteva scrivere su certi giornali democratici dell’arco costituzionale, non poteva stampare con le case editrici democratiche, non poteva una serie di cose. Per cui quella cultura sopravviveva nelle case editrici di segmento che erano limitate per quanto alcune anche prestigiose però molto limitate.

Il pensiero lungo di Gentile, il pensiero lungo di Del Debbio lo vediamo ancora qui accanto a noi. Voi vedete queste opere d’arte qui alle mie spalle sono opere di Borgognone, scene di battaglie del 1600, provengono da Capodimonte e sono qui perché sono in contodeposito ormai da cento anni proprio per una visione di Del Debbio sui prestiti delle opere dei depositi dei musei di politica culturale assolutamente all’avanguardia, tirate fuori dai depositi e distribuite alla Camera, al Senato, ai Ministeri dove ancora sono e appunto hanno celebrato adesso cento anni. Quindi una visione culturale molto contemporanea e molto valorizzante.

Su questo ancora oggi stiamo dibattendo qui alla Camera l’aggiornamento della legge sul 2% che sarebbe l’estetica pubblica nelle opere pubbliche. Ho già un mio testo che è incardinato che chiede di spostare i fondi qualora non utilizzati dal Ministero dei Trasporti e dei Lavori Pubblici al Ministero della Cultura perché possano essere utilizzati. Quindi ci sono visioni lunghe, ho citato la Treccani, ho citato il 2% di Del Debbio sulle politiche attive per la valorizzazione dei beni culturali che hanno fatto storia e che ancora sono attuali. Per il resto è vero che la sinistra ha avuto la capacità di conquistare le case matte della cultura ma è pure vero che verso questa capacità adesso c’è un riflusso al contrario.

Voglio smentire, lo faccio anche qui, ma soprattutto in questo contesto che la destra destra politica sia impegnata a costruire una nuova egemonia culturale. Spesso leggiamo sui giornali vicini all’opposizione che stia accadendo questo ma è assolutamente falso.

E anzi il tema, più volte ribadito anche dal ministro Giuli, che addirittura ha scritto un libro su Gramsci e su questo tema, è quello che io ho detto anche in altre occasioni fin dall’inizio di questo dibattito che noi non siamo impegnati nell’affermazione, nella sostituzione di un’egemonia culturale – quella della sinistra – con un’altra egemonia, cioè quella di destra. Noi siamo impegnati in un processo di sintesi culturale, tesi, antitesi e sintesi, è quello che pensiamo debba fare il governo della nazione, cioè non andare a imporre una visione culturale ma andare a creare quelle sintesi che valorizzino da destra e da sinistra e da qualsiasi altro punto di vista l’interesse nazionale anche nella rappresentazione culturale dell’Italia.

E su questo noi ci siamo impegnati nel cinema con l’aumento dei fondi per i selettivi che appunto dovranno avere come indirizzo quello da qualsiasi punto di vista liberamente ma di raccontare storie, personaggi sia storici sia contemporanei italiani per dare una nuova narrazione ma questa narrazione non deve essere una narrazione di destra, deve essere una nuova narrazione che vada a mettere insieme i diversi punti di vista. Lo stesso nell’editoria, lo stesso nel teatro con le polemiche che ci sono state sul rinnovo peraltro previsto dalla legge dei vertici delle governance dei teatri.

Noi vogliamo che ci sia la libera circolazione delle idee e un processo di sintesi che è la cosa più importante. E’ più bello per una nazione quando c’è vivacità culturale, quando c’è circolazione delle idee e si creano nuove sintesi. Del resto la storia italiana è una storia fatta di sintesi prima culturali e poi politiche per cui è importante che la visione nazionale possa unirsi anche a una visione progressista.

Noi cerchiamo la sintesi, non vogliamo una nuova egemonia culturale o fare l’inverso al novecento, a noi interessa creare nuove sintesi”.

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