Tra le novità introdotte dal Governo Draghi, l’individuazione di una specifica delega per la disabilità, affidata alla Senatrice Erika Stefani. In realtà, l’ipotesi di porre sotto un’unica guida le misure e gli interventi per le persone disabili era stata già percorsa nei Governi Conte, prima con il Ministero della Famiglia e della Disabilità poi con l’assunzione della delega da parte del Presidente del Consiglio, senza tuttavia effetti di rilievo.
Non ha mai visto la luce, infatti, l’annunciato “Codice per la persona con disabilità”, in cui concentrare tutte le norme in materia: il disegno di legge di delega al Governo, approvato il 28 febbraio 2019 dal Consiglio dei Ministri, non ha superato il vaglio della Ragioneria dello Stato. Di esso rimane l’elenco, al comma 2, delle aree da coordinare e semplificare: a) definizione della condizione di disabilità; b) accertamento e certificazione; c) disciplina dei benefici; d) sistemi di monitoraggio, verifica e controllo; e) promozione della vita indipendente e contrasto dell’esclusione sociale; f) abilitazione e riabilitazione; g) istruzione e formazione; h) inserimento nel mondo del lavoro e tutela dei livelli occupazionali; i) accessibilità e diritto alla mobilità.
Aree di criticità che peraltro erano state già dettagliatamente affrontate nel “Secondo programma di azione biennale per la promozione dei diritti e l’integrazione delle persone con disabilità”, adottato con DPR del 12 ottobre 2017, ampio documento per orientare le politiche e i servizi per le persone con disabilità.
Tra le 8 linee di intervento, le 47 azioni generali, le 205 azioni specifiche, che hanno purtroppo ricevuto scarsa attenzione ed ancor più limitata applicazione, crediamo vada sottolineata l’analisi che apre il capitolo dedicato a “Salute, diritto alla vita, abilitazione e riabilitazione”: “…si constata come le politiche sanitarie risultano ancora fortemente centrate su modelli di cura che mettono al centro la malattia e non la persona con disabilità nel suo contesto di vita e le sue progettualità di inclusione e partecipazione alla comunità, con una forte carenza di integrazione di policy in particolare sociosanitaria, una accentuata carenza di collegamento tra Ospedale e Territorio, percorsi non ancora compiuti di riqualificazione delle cure intermedie e del livello delle cure primarie.
Non può dirsi pienamente realizzato il processo di integrazione socio-sanitaria e permangono in molte aree del paese forte difficoltà nel costruire progetti personalizzati che mettano effettivamente al centro la persona con disabilità assicurando la pienezza ed effettività dei principi di autodeterminazione e “empowerment”. Prevale poi un approccio basato sulla singola patologia o condizione…”.
L’individuazione di un dicastero “dedicato” alla disabilità è un indubbio passo avanti in termini di “vision” unitaria del tema ma rischia di replicare nelle forme di governo la carenza di integrazione tra competenze istituzionali sanitarie e sociali, più volte indicata quale vero ed insormontabile ostacolo alla realizzazione di progetti personalizzati sul piano terapeutico, riabilitativo, assistenziale, tutelare, nel rispetto dell’unitarietà e della centralità della persona.
Più recentemente, anche il Piano Nazionale per la Ripresa e la Resilienza, ha assegnato alle politiche sociali e sanitarie compiti sostanzialmente convergenti, auspicandone l’integrazione. Ancora una volta è stata affidata la realizzazione di interventi innovativi a una strategia che ha mostrato tutta la sua inefficacia. La nuova stesura del PNRR che si annuncia da parte del Governo Draghi costituisce una straordinaria occasione per la parallela, strutturale riforma della pluridecennale frattura tra sociale e sanitario.
Gli oltre 3 milioni di italiani che, a causa di problemi di salute, presentano limitazioni nello svolgimento di attività abituali e ordinarie (persone anziane, con disabilità, persone con problemi di salute mentale e/o dipendenze, o con disturbi del comportamento) hanno bisogno di progetti personalizzati di intervento caratterizzati dalla inscindibilità degli apporti professionali sanitari e sociali e dalla indivisibilità del loro impatto sugli esiti.
Non è sufficiente riconoscere questa realtà in atti normativi, in piani d’azione, in linee di indirizzo. È illusorio pensare – e tutte le analisi lo dimostrano – che l’impulso all’intervento integrato proveniente dai documenti programmatori, possa essere recepito e adottato in maniera ordinaria da servizi sanitari e sociali strutturalmente organizzati e gestiti in maniera autonoma e separata. Crediamo sia un errore ritenere che le criticità dipendano dalla carenza di risorse e che sia un errore ancor più grave immettere nuove risorse in un sistema che ha bisogno di un radicale riordino: vanno modificate innanzitutto le modalità con cui le risorse vengono utilizzate, pervenendo al governo unitario di tutta l’area dell’integrazione sociosanitaria, quale riforma necessaria al buon uso delle risorse europee.
Risorse che non sono trascurabili: quelle previste nell’ultima versione del PNRR sono stimabili a circa 15 miliardi di Euro (considerando la componente 5.1 Politiche per il lavoro; la componente 5.2 Infrastrutture sociali, famiglie, comunità e terzo settore, in cui sono previsti progetti per Servizi socioassistenziali, disabilità e marginalità e per Housing sociale; la componente 6.1 Assistenza di prossimità, in cui sono previsti finanziamenti per Casa della Comunità e presa in carico della persona, Casa come primo luogo di cura, Assistenza domiciliare, Sviluppo delle cure intermedie).
Queste risorse si aggiungeranno a quelle correnti per l’assistenza alle persone con limitata autonomia (attività sanitarie e sociosanitarie per long term care, attività e misure sostenute dalle Politiche Sociali, erogazioni assistenziali a carico dell’INPS) stimabili per difetto in oltre 20 miliardi di Euro all’anno, senza considerare gli stanziamenti autonomamente deliberati a livello regionale e comunale.
Appare evidente che le risorse già impegnate e quelle che verranno rese disponibili con i Fondi Europei sono adeguate a far compiere al Paese un significativo salto di qualità nella direzione di un welfare inclusivo, generativo, motore di ripresa e resilienza. A patto che le stesse vengano utilizzate in un sistema di governance unitario che superi i limiti, i confini di competenze e le autoreferenzialità attuali.