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[L’Intervista] Eugenio Massolo, Presidente Fondazione Accademia Italiana della Marina Mercantile: «Il mercato marittimo sarà uno degli assi della ripartenza del Paese. Ma sui percorsi ITS l’Italia deve fare di più per far ripartire il mercato del lavoro»

Eugenio Massolo è stato Assessore all’Istruzione e all’Edilizia Scolastica della Provincia di Genova per 10 anni, fino al 2004 quando negli ultimi anni di mandato ha maturato il progetto di un’Alta Scuola di Formazione per gli Ufficiali della Marina Mercantile, prima con l’avvio della Accademia Marittima Ligure-Toscana, poi con l’avvio della Accademia Italiana della Marina Mercantile, in via sperimentale dal 2005, poi trasformata in ITS nel 2010. Siamo andati a trovarlo per un’intervista ad ampio raggio dove abbiamo toccato vari argomenti, dalla ripartenza dell’Italia grazie anche al Mercato Marittimo, alla situazione attuale degli Istituti Tecnici Superiori in Italia, dall’Accademia Italiana della Marina Mercantile al mondo del lavoro stravolto dalla pandemia e dalla richiesta di digitalizzazione ormai imprescindibile, fino ad un’importante proposta sui crediti formativi nei passaggi dal sistema degli ITS a quello universitario.

Presidente Massolo, la Fondazione Accademia Italiana della Marina Mercantile è la più importante accademia di alta formazione e training in ambito marittimo, riconosciuta come Fondazione ITS dal 2011. Come avete vissuto quest’anno di pandemia? Come avete adattato la vostra offerta formativa?

E’ stato un anno di totale riorganizzazione. Quando è scoppiata la pandemia avevamo un centinaio di Allievi Ufficiali imbarcati, in larga parte su navi da crociera, in tutto il mondo. Sono via via rientrati, con estrema difficoltà, dovuta alle restrizioni sugli sbarchi e ai ripetuti blocchi sui collegamenti aerei: un Allievo è rientrato dopo otto mesi. Molti hanno contratto il Covid, per fortuna senza gravi conseguenze e tutti hanno vissuto lunghi periodi di quarantena.

Naturalmente abbiamo dovuto riorganizzare completamente la didattica per il passaggio in DAD, facendo significativi investimenti sul piano delle attrezzature, delle piattaforme e della formazione del personale, al fine di fornire una didattica di qualità. I moduli didattici sono stati ristrutturati e riprogettati, sia per i corsi in essere che per quelli che dovevano essere avviati. Lo sforzo è stato notevole, tenendo conto che tra corsi in essere e nuovi, abbiamo dovuto gestire oltre 700 Allievi di tutti gli indirizzi, conduzione nave, gestione passeggeri, logistica intermodale, cantieristica, ferroviario.

Che ruolo avrà secondo lei il mercato marittimo nella ripartenza dell’Italia?

Si può prevedere che il mercato marittimo sarà uno degli assi della ripresa economica del Paese. Anche in questo periodo, mentre è in grossa sofferenza il settore crocieristico, il settore del trasporto merci non ha registrato un calo significativo. La prevedibile ripresa economica, post pandemia, già in atto in Cina e negli USA, porterà un significativo incremento degli scambi a livello globale e ciò inciderà sia nel settore trasportistico navale ma anche e, soprattutto, in settori che già ora manifestano una crescita di volumi e carenza di personale adeguato, come il settore merci-ferroviario, la logistica, che ha registrato un notevole balzo in avanti e la cantieristica, che è impegnata nella costruzione delle nuove navi ad alimentazione ibrida o LNG.

Più in generale, qual è la situazione oggi in Italia dei percorsi secondari della IeFP e dei percorsi terziari degli ITS?

Il nostro Paese soffre uno svantaggio competitivo con altri Paesi Europei, quali la Germania, la Francia, il Belgio non avendo messo in campo per tempo un robusto e qualificato sistema di alta formazione professionale. Mentre Confindustria lamenta di non trovare sul mercato migliaia di giovani tecnici da inserire nelle loro aziende, registriamo, nel contempo, un triste primato in Europa di disoccupazione giovanile.

Questo settore ha bisogno di una robusta iniezione economica, ma ancor più, di una mission molto precisa: concorrere proattivamente al processo di modernizzazione del nostro sistema produttivo, partecipando, insieme alle imprese, ad un ridisegno complessivo delle esigenze professionali e di nuove competenze che l’attuale rivoluzione esige, nel modo di produrre, sia in termini organizzativi che tecnologici. Gli ITS sono chiamati ad un salto di qualità difficilissimo e cruciale che li deve mettere in grado di rappresentare negli anni 2000, quello che gli Istituti Tecnici Industriali hanno rappresentato per l’industria Italiana negli anni della ricostruzione post bellica e durante gli anni del Miracolo Economico.                      

Pur se la pandemia non è ancora stata superata, l’arrivo dei vaccini e il nuovo Governo fanno sperare che a breve si possa ricominciare a parlare in maniera convinta di ripartenza. Che ruolo immagina possa avere l’istruzione e la formazione professionale nel prossimo percorso di ripresa?

L’italia era già afflitta, da almeno un decennio, da un basso tasso di crescita che aveva ormai assunto una forma endemica. Siamo ora sprofondati in tassi pesantemente negativi che vanno rapidamente recuperati pena una decadenza economica che ci espellerebbe dalle potenze industriali del pianeta.

Risulta ormai chiaro che una delle cause principali di arretramento dipende da un sistema nazionale di istruzione e di formazione che è inefficiente, poco flessibile, incapace di adattarsi ad una realtà in continuo mutamento e inadatto a colmare gli squilibri socio culturali che marginalizzano ampie fasce della nostra non abbondante popolazione giovanile. Ancor più inefficiente si mostra nel prevenire l’espulsione dal mondo del lavoro di ampie fasce di lavoratori per i quali non esiste una organica politica di formazione continua che prevenga l’obsolescenza professionale esponendoli alla disoccupazione in occasione di riconversioni produttive e/o strutturali trasformazioni tecnologiche.

Già da ora il sistema della FP deve mettersi in grado di intercettare i profondi mutamenti di produzione e di processo che sono in corso nel nostro Paese, stringendo alleanze con imprese e associazioni di imprese, per realizzare un “salto di specie” che consenta di produrre una rivoluzione copernicana anche nell’approccio formativo. Non si tratta più di ridisegnare competenze specifiche e trasversali dei lavoratori, ma di combinarle con nuove intelligenze, quelle artificiali, con le quali aumenteranno le interazioni e le connessioni.

Un altro scenario decisivo, sarà rappresentato, in fase addestrativa, dalle potenzialità della simulazione, un ambiente formativo che ridurrà i tempi e le didattiche di aula e consentirà di calarsi in una realtà virtuale dove l’apprendere e l’operare saranno temporalmente sincronici e quindi assai più veloci ed efficaci.

Una delle eredità che ci lascia l’emergenza che stiamo vivendo è quello di ripensare le nostre professioni in un’ottica digitale. Vi siete già attrezzati in questo senso?

Il tema della digitalizzazione è cruciale, in quanto investe trasversalmente tutti i processi produttivi e, a vari livelli, tutte le figure professionali. Nel settore marittimo, in senso lato, la digitalizzazione e l’automazione sono in continuo avanzamento e stanno subendo una ulteriore accelerazione. Stiamo rivedendo tutti i programmi alla luce di questa nuova sfida per essere pronti ad adattare la nostra offerta formativa alle nuove esigenze. Accenno ad alcuni temi: la Cyber Security per gli Allievi Ufficiali, la gestione dei Big data per la logistica, la digitalizzazione delle operazioni in banchina per i nuovi tecnici che opereranno nei terminal. In questa direzione abbiamo già sviluppato diversi incontri con le Aziende per leggere insieme le nuove competenze necessarie e cominciare la strutturazione di nuovi profili,insieme alla revisione di quelli già attivi.

Anche il mercato del lavoro sembra cercare oggi nuove figure professionali, nuove professioni più smart e d’impatto per gestire le situazioni in velocità. Avete fatto una riflessione su questo?

Il mercato del lavoro si sta orientando su figure professionali in grado di inserirsi rapidamente in nuovi processi produttivi e di cambiamento di sistema. Le figure tecniche richieste in parte sono nuove o sono evoluzioni di figure professionali obsolete. Faccio un esempio. Le operazioni ai terminal portuali si stanno rapidamente trasformando e digitalizzando,sostituendo i sistemi operativi manuali in banchina. Questo implica lo studio e la formazione di nuove figure professionali, in grado di operare su sistemi di movimentazione delle merci fronte Porto del tutto nuovi, con rafforzate competenze digitali, logistiche e di interazione con altri operatori.

La formazione di operatori di questo tipo implica uno stretto dialogo con diverse imprese, o gruppi di imprese del settore, per definire, sia le competenze trasversali che quelle specifiche, modulate sulle particolari caratteristiche delle aziende e sui sistemi adottati. E’ un passaggio importante, perché si tratta di transitare, in ambito formativo,da una progettazione per “categorie professionali” ad una “progettazione sartoriale”, che calzi perfettamente con una situazione in movimento, che sia in grado di fornire tecnici capaci di gestire una trasformazione in essere e di dimostrarsi operativi già dal primo ingresso nel ciclo di produzione.

Per la ripartenza dell’Italia sarà molto importante stabilire un corretto collegamento tra il mondo della scuola e quello del lavoro, soprattutto attraverso i percorsi di formazione terziaria. Come fondazione state già assicurando un’ottima percentuale di occupabilità per coloro che frequentano la vostra accademia. Secondo lei, quali sono le tipologie di relazione che hanno dato i frutti migliori e quali invece quelle su cui è necessario intervenire o sviluppare?

Il nostro ITS viaggia su percentuali di occupazione che superano complessivamente l’80% dei diplomati. Nel settore del trasporto marittimo superano il 90% e in alcuni percorsi, come attualmente il ferroviario, si concludono con una percentuale del 100%.

Le considerazioni che posso fare, dopo molti anni di esperienza, per raggiungere buoni risultati sono molteplici. In primo luogo l’ITS funziona se ha un cluster di riferimento piuttosto ampio e dinamico dal punto di vista dello sviluppo. Non si parte mai dalla individuazione di figure ITS da proporre alle Aziende, ma si cerca di leggere il modo di operare delle Aziende, il loro mercato, i loro processi di produzione, per costruire insieme il tipo di percorso che può essere utile per risolvere dei problemi concreti. La coprogettazione e il coinvolgimento di docenti delle imprese partner è fondamentale per la riuscita dei corsi. L’impegno all’assunzione di almeno il 70% dei diplomati è elemento fondante del patto formativo. L’utilizzo di tecnologie avanzate e di laboratori di alta qualità è una necessità imprescindibile per una didattica efficace.

Va inoltre tenuto conto che ridurre l’offerta formativa ai soli corsi ITS è limitante, è invece utile rispondere alle esigenze formative delle Aziende in termini globali, offrendo risposte a vari livelli, con corsi di qualificazione FSE, formazione continua, corsi finanziati con i fondi interprofessionali e formazione a pagamento. Con diverse imprese partner abbiamo raggiunto accordi per la formazione in esclusiva, che garantisce un rapporto molto stretto e consolida la fidelizzazione. E’ tempo di sviluppare relazioni più avanzate che soprattutto per le PMA siano in grado di sostenerle in una analisi professionale dei bisogni, nell’assessment del personale, nella assistenza tecnica per usufruire di sgravi fiscali legati alla formazione e alla innovazione, fino a sviluppare azioni di trasferimento tecnologico.

Oggi risulta in forte crescita il tasso di abbandono scolastico. Probabilmente non tutti valutano correttamente lo sbocco professionale che invece può dare un percorso di istruzione e formazione professionale. Ritiene che una maggiore informazione in tale senso possa aiutare ad arginare questo fenomeno? Chiedete di più dalle istituzioni in questo senso?

Purtroppo l’impianto culturale della scuola e la stessa mentalità delle famiglie vede nell’Istruzione tecnica e professionale una offerta di secondo livello, subordinata alla istruzione liceale e ai percorsi universitari. A ciò si aggiunge una demotivazione indotta nelle ragazze verso gli studi e le professioni tecniche. Non si percepisce abbastanza la ricchezza di saperi e di abilità che la formazione tecnica e professionale è in grado di offrire e gli sbocchi occupazionali che apre,spesso con interessanti prospettive di carriera e retribuzioni più elevate. Sicuramente è necessario che questo tema sia oggetto di una comunicazione più insistente e meno occasionale, per evitare una dispersione dannosa per il futuro di molti giovani e la perdita di risorse umane per il nostro Paese.

La crisi legata all’attuale emergenza sanitaria potrebbe sfociare a breve in una crisi economica ed occupazionale senza precedenti. Per provare a prevenire questo fenomeno, ritiene possibile un allargamento del ruolo dell’istruzione e formazione professionale alla formazione degli adulti, specialmente disoccupati?

Già da tempo lavoriamo con molte Aziende partner sulla formazione del loro personale dipendente. In questo periodo molte richieste ci vengono avanzate anche in relazione alla formazione di figure professionali a rischio di espulsione, se non riqualificate in funzione delle riorganizzazioni produttive. Ritengo che il dopo pandemia, vedrà un periodo di grande turbolenza sul mercato del lavoro, con molti lavoratori che si troveranno disoccupati, per la prevedibile riduzione dei posti di lavoro, sia per la crisi attraversata, sia perché automazione digitalizzazione implicheranno una riduzione degli addetti.

Sarà indispensabile creare strumenti nuovi per affrontare una situazione che rischia di essere drammatica per molte famiglie, mettendo a disposizione tutti gli strumenti atti al reinserimento lavorativo. Molti ITS potranno essere uno degli strumenti con i quali affrontare il problema, soprattutto laddove le relazioni con le Aziende sono forti e numericamente significative, individuando azioni formative mirate condotte congiuntamente a gruppi di imprese interessate al reinserimento lavorativo. A questo riguardo sarebbero utili agevolazioni fiscali per le imprese stesse.

Una delle proposte che abbiamo avanzato prima di Natale come Osservatorio per la Ripartenza è stata quella di potenziare la filiera dell’istruzione tecnica e professionale, dal sistema secondario a quello terziario accademico (lauree professionalizzanti) e non accademico (Fondazioni ITS). Come pensa sia possibile perseguire questo obiettivo?

Il rischio maggiore in questa fase è quello della non chiarezza e della corsa ai finanziamenti del Recovey Fund mettendo in campo progetti non chiari nel loro punto di caduta finale.

L’Università e gli ITS hanno due missioni diverse, sommabili, ma non confondibili. L’Università è il luogo della ricerca e dei saperi, gli ITS sono il luogo di massimo intreccio con le Aziende per formare tecnici di alto profilo operativo immediatamente spendibili nei processi produttivi. Se un ITS non produce un significativo numero di diplomati occupati in lavori coerenti entro un tempo stabilito,e con soglie di occupazione che non vadano, mediamente, sotto il 70%, non ha molto senso di esistere.

I corsi universitari hanno degli ordinamenti stabiliti per legge, la modifica dei quali implica necessariamente degli iter procedurali, mentre gli ITS hanno la massima flessibilità nel riarticolare i percorsi in funzione di riadattamenti utili a soddisfare le esigenze delle imprese. Nessun percorso, anche per la stessa figura professionale, è esattamente identico da una edizione all’altra, in quanto è soggetto a verifiche di efficacia, in relazione alle richieste delle Aziende o in relazione a un mutato quadro delle Aziende coinvolte.

L’Università ha corsi di laurea che mirano a creare figure occupabili, in quanto appetibili sul mercato del lavoro, mentre l’ITS deve mirare all’occupazione diretta e i suoi finanziamenti sono giustamente modulati in funzione del numero dei diplomati e dei diplomati occupati che vengono annualmente monitorati da INDIRE.

Se il rafforzamento dell’istruzione terziaria, universitaria e non, è un obiettivo utile se è funzionale al sistema produttivo e all’occupazione giovanile, va sempre ricordato che, comunque, l’Italia ha un gap da superare rispetto agli altri Paesi Europei anche nei settori strategici della ricerca e delle lauree magistrali che sono ugualmente importanti per lo sviluppo del Paese e l’innalzamento complessivo dei saperi.

Sarà quindi utile, al fine di non creare inutili doppioni e,conseguentemente, spreco di preziose risorse, individuare bene le caratteristiche dei percorsi universitari professionalizzanti che, a mio avviso ben concorrerebbero a formare figure atte a costruire e a implementare sistemi mentre agli ITS dovrebbe spettare il compito di formare figure tecniche di elevata capacità operativa/applicativa ed elevata flessibilità.

Un problema che andrebbe finalmente affrontato è quello dei crediti per il passaggio da un sistema all’altro. I corsi biennali ITS sono classificati al Livello EQF 5, quelli triennali al Livello EQF 6, pari a quello delle lauree triennali. Segnalo un paradosso: i nostri ex Allievi  se chiedono l’iscrizione al primo anno di un corso di Laurea presso l’Univerità di Genova gli vengono assegnati zero crediti, così come i diplomati di Logistica.

Attraverso una convenzione con l’Università di Southampton attiva da due anni, ai diplomati del corso triennale in Conduzione del mezzo Navale (Ufficiali di Coperta), vengono integralmente riconosciuti i tre anni di ITS e possono iscriversi al primo anno della Laurea Magistrale in Management Marittimo, mentre ai diplomati del Corso triennale in Conduzione degli Impianti di Bordo (Ufficiali di Macchina) vengono integralmente riconosciuti due anni di crediti e si possono iscrivere al terzo anno del corso di Laurea triennale in Ingegneria Navale. Analogamente avviene per i diplomati del corso biennale di Logistica a Plymouth, ai quali vengono riconosciuti crediti pari ad una annualità presso il loro Corso di Laurea triennale in Logistica.

Affrontare questo tema rapidamente sarebbe assai utile, non solo per aprire una prospettiva di prosecuzione agli studi universitari a giovani diplomati,che pur occupati, sono stimolati a proseguire con un percorso universitario, ma anche per facilitare il passaggio di giovani che,iniziato un percorso universitario, per diverse ragioni preferiscono orientarsi su un percorso con caratteristiche più operative/applicative, contribuendo ad attenuare la dispersione a livello universitario. Da qualche anno, infatti, registriamo nei nostri iscritti una crescita non solo di diplomati liceali ma anche di studenti universitari che transitano nell’ITS e anche di alcuni laureati.

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