“Quando ero giovanissimo e arrivava una macchina nel paese, una motocicletta, andavamo tutti a vedere, a guardare, ad aprire il cofano, a scoprire questo nuovo mondo. Io sono nato proprio in questo mondo che cambiava con l’idea di andare a fare quel lavoro lì…”.
Giampaolo Dallara, presidente e fondatore della Dallara Group si è raccontato a cuore aperto in occasione della prima serata della rassegna “Che fantastica storia è la vita”, tenutasi a Felegara in provincia di Parma, organizzata dalla locale Polisportiva La Felce e ideata da Erico Verderi.
Di fronte a una platea che ha visto il tutto esaurito, l’ingegner Dallara ha raccontato la sua storia, partendo dal bambino Giampaolo che ha vissuto la guerra nella sua Varano, piccolo comune di provincia, e i primi segnali di avvento della mobilità, per giungere ai suoi più recenti successi.
Unico studente di Varano a frequentare l’Università, ha ricordato come altri studenti, anche brillanti, non avessero potuto proseguire negli studi per problemi economici e logistici. All’epoca la mobilità era scarsa, ma lui ebbe la fortuna di poter soggiornare presso dei parenti.
Prima il biennio a Parma, poi al Politecnico di Milano. Desiderava ingegneria meccanica, ma non avendo studiato prima disegno industriale aveva dovuto optare per ingegneria aeronautica, con un corso integrativo di disegno al sabato pomeriggio. Aeronautica che poi lo ha appassionato profondamente, al punto da sognare di entrare a far parte di quel mondo.
La laurea giovanissimo nel 1959 poi il destino volle che la Ferrari stesse svolgendo prove nella galleria del vento della sua università.
“C’era Enzo Ferrari che faceva le sue prove nella galleria del vento del politenico di Milano, un professore mi dice guarda che alla Ferrari cercano i giovani ingegneri, il giorno dopo ero già lì a lavorare. Sono entrato nelle corse in Ferrari, ero l’ultimo arrivato. Quello che faceva i calcoli a mano”.
Sollecitato dalle domande, ha raccontato la sua avventura modenese e il rapporto con Enzo Ferrari, un personaggio di grande carisma e leadership. Era un mondo completamente diverso dall’attuale: si viveva a stretto contatto con i piloti. Ricorda visite serali e cene con chi poi sarebbe diventato campione del mondo, il pilota Phil Hill.
All’epoca l’ufficio tecnico contava solo dodici persone, che progettavano motori, cambi e carrozzerie delle vetture stradali. Una creatività fuori dal comune, un continuo apprendimento.
Non dimenticherà mai quando, appena arrivato, venne accompagnato a fare il giro dell’azienda: Enzo Ferrari lo portò non nel suo ufficio, ma nella sala riunioni dove non erano esposti i trofei, bensì i pezzi rotti, cuscinetti, porta mozzo, valvole. Non fu mai esplicito, ma col tempo ha compreso il messaggio: si può sbagliare, ma bisogna riconoscerlo subito per non ripeterlo. L’errore è una risorsa su cui lavorare.
“Nella sala riunioni di Enzo Ferrari non c’erano nelle pareti i trofei delle gare vinte o i quadri delle grandi vittorie. C’erano in una sorta di esposizione tutti gli errori. I pezzi rotti, il cuscinetto, il porta-mozzo, la valvola. Ci ho messo del tempo a capire ma in questo momento mi sono accorto che era probabilmente un messaggio molto importante: quello di lavorare sugli errori. Oggi da noi in azienda una delle posizioni professionali molto importante è quella del failure manager, una persona che insieme ad altri si occupa di esaminare tutto quello che non ha funzionato, di cercare di capire come si può fare per trovare una risposta immediata ma soprattutto di capire che cosa bisogna fare per non ripetere più lo stesso errore”.
Ricorda anche personaggi illustri ricevuti da Enzo Ferrari per l’acquisto di un’auto: lo Scià di Persia con la moglie, Roberto Rossellini con Ingrid Bergman, i reali del Belgio. Mai però con deferenza servile: era sempre chiaro che di fronte avevano Ferrari.
Il desiderio di andare a lavorare in pista lo porta poco dopo in Maserati. Al Drake aveva però raccontato che sarebbe rientrato nella piccola impresa del padre. Quando Enzo Ferrari scoprì la verità si recò a Varano e comunicò al padre che il figlio non si era comportato bene.
“Poi un giorno me ne andai e dissi una bugia a Enzo Ferrari di cui ancora mi pento. Non ebbi il coraggio di dirgli che sarei andato a lavorare per Maserati. Piuttosto gli raccontai che sarei andato con mio padre a gestire l’azienda di famiglia. Quando il Drake lo scoprì ci rimase molto male e se ne lamentò con mio padre”.
“Il Drake ha creato uno spirito e ha creato un qualcosa che ancora adesso sopravvive altrettanto importante come lo era allora molto più di come lo era allora e se oggi c’è la motorvalley che funziona e l’economia nell’automobile che nella nostra regione è l’unica che ancora funziona bene e cresce e merito soprattutto di Ferrari, della Ferrari”.
In Maserati lavora con piloti del calibro di Roger Penske, oggi proprietario del circuito di Indianapolis e uno dei più grandi costruttori e concessionari al mondo, e con Bruce McLaren.
Le difficoltà economiche della Maserati lo portano alla Lamborghini, dove progetta la leggendaria Miura, considerata ancora oggi una delle più belle auto mai realizzate.
Passa poi in De Tomaso, ma anche lì i programmi sportivi non proseguono.
Decide allora di farle in proprio. Nel 1972 fonda la Dallara Automobili a Varano de’ Melegari. Oggi il gruppo conta quasi mille dipendenti ed è fornitore esclusivo di dieci categorie automobilistiche, dall’IndyCar alla Formula 2 e Formula 3, presenti nei weekend della Formula 1, oltre alle competizioni Endurance in Europa e America, e alla collaborazione con la scuderia Haas.
La Dallara non è solo competizione: collabora con Ferrari, Maserati, Lamborghini, Porsche, Alpine, BMW e altre case prestigiose.
Con commozione ha ricordato anche la hand bike con cui Alex Zanardi ha vinto due ori ai Giochi Paralimpici di Londra 2012.
Ha alternato tecnicismi e aneddoti, suscitando spesso il sorriso del pubblico. Ha affrontato il tema della sicurezza, un tempo poco considerata, oggi prioritaria. E quello dell’inquinamento, che richiede una visione ampia, non limitata al solo mondo dell’automobile.
Il pubblico è rimasto colpito dall’intelligenza, dall’umiltà e dal profondo senso di riconoscenza verso il territorio e i compaesani che lo hanno sostenuto. Questo legame è stato suggellato da un trust che garantisce la permanenza della sede aziendale a Varano per venticinque anni a partire dal 2022.
L’80% degli utili deve essere reinvestito in azienda, mentre la famiglia Dallara si impegna a devolvere parte dei propri utili alla Fondazione Caterina Dallara, dedicata alla figlia scomparsa nel 2007, con lo scopo di favorire la crescita del territorio e l’apprendimento dei giovani. Nel 2018 è stata inaugurata la Dallara Academy.
In conclusione, sollecitato dalle domande, ha rimarcato l’imprescindibile diritto e dovere dei giovani al sogno, decisivo per il presente e ancor più per il futuro. Alla sua età vive più libero, consapevole di avere validi collaboratori. Sogna ancora, ma non si sarebbe aspettato di dover convivere con guerre così vicine. Ha spesso sottolineato di essere stato, professionalmente, baciato dalla fortuna.
“Non ho inventato niente, abbiamo copiato dagli altri e io sono stato bravo a copiare. In quello sono stato il numero uno”.








