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Ecco l’ora della verità (per l’Europa) | L’analisi di Paolo Gnes

Purtroppo, come avevamo previsto, Trump ha annunciato mercoledì scorso la sospensione del supporto militare all’Ucraina, che era stato promesso nella misura e per tutto il tempo che necessari per respingere l’invasione russa del 24 febbraio 2022, seguita – non lo dimentichiamo – al fallito tentativo di accordo intrapreso bilateralmente tra Usa e Russia, con esclusione di ucraini ed europei, nell’imminenza del conflitto.

In vista del quale americani e britannici avevano già iniziato ad armare e addestrare efficacemente, come emergerà dall’inaspettata resistenza opposta all’attacco, le forze armate ucraine.

Così come furono sempre gli americani a premere sugli europei perché rivedessero le loro relazioni commerciali e diplomatiche con la Russia e interrompessero, con loro grave danno, gli acquisti di materie prime russe, per aderire a sanzioni non ritagliate certo sui nostri interessi, in particolare di tedeschi e italiani.

Non a caso si parlò di guerra per procura, combattuta da ucraini (ed europei) su impulso e a favore degli USA per logorare la Russia, ritenuta allora alleato di ferro della Cina.

Ma ora Trump ha cambiato idea e si è convinto, come era emerso fin dalla sua prima telefonata con Putin del febbraio scorso, che con lo zar ci si può intendere e che quindi è meglio fare affari con lui anziché guerre, nel loro esclusivo interesse, in spregio del diritto e dell’equità e in danno dei deboli, avendo come unico riferimento i rapporti di forza.

Quanto avvenuto nei giorni scorsi conferma il chiaro nesso di reciprocità tra il disimpegno russo dall’Iran e quello americano dall’Ucraina (a terre rare acquisite), finalizzato a rendere più efficaci i violenti bombardamenti e attacchi al fronte sferrati dai russi per costringere alla resa l’Ucraina.

Mai la situazione dell’Ucraina, e dell’Europa che – avendole aperto la porta – ne condivide il destino, è stata tanto drammatica.

Non meno drammatica è la decisione che deve prendere l’Europa: accrescere immediatamente il proprio supporto militare a Kiev per sostituire fin dove possibile la diminuzione di quello americano, avviando senza ulteriori indugi un processo di unificazione politica e difesa comune e un’autonoma iniziativa diplomatica verso la Russia, o abbandonare l’Ucraina al suo destino, cercando solo di salvare la faccia, come avvenne per la Cecoslovacchia alla Conferenza di Monaco del 1938 in ossequio all’“appeasement”?

Non è in gioco solo l’immagine dell’Europa, ma il suo stesso futuro di soggetto politico in grado di garantire la sicurezza dei suoi cittadini: quale credibilità potrebbe avere, soprattutto agli occhi dei paesi nord-orientali più esposti, una comunità incapace di difendersi nell’ora della verità?

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