Entro il 2086 la popolazione mondiale potrebbe raggiungere il picco di circa 10,4 miliardi di persone per poi iniziare a diminuire.
Affinché la popolazione attuale resti almeno stabile, il numero medio di nuovi nati dovrebbe essere di 2,1 per ciascuna donna e, proprio grazie a questo indicatore, è possibile stimare quante persone abiteranno il pianeta fra, per esempio, 20 anni.
Dal 1960 al 2021, il tasso di fertilità della Corea del Sud è calato dell’86%, passando da quasi 6 nascite per donna a 0,81.
Secondo le Nazioni Unite, la popolazione di questo Paese, esempio perfetto di calo demografico, potrebbe diminuire di circa 20 milioni nei prossimi 50 anni.
In Cina il numero di nascite è già sceso a 1,16 per donna e nei prossimi decenni la popolazione potrebbe ridursi di addirittura 654 milioni, perdendo così il primato di nazione più popolosa del mondo a favore dell’India.
L’Africa rappresenta un’eccezione al calo demografico, ma i tassi di fertilità tendono a diminuire con l’aumento del reddito pro-capite.
Inoltre, è probabile che la crescita demografica di quest’area richieda più tempo per compensare il calo della popolazione di altre zone.
Secondo la Banca Mondiale, nel 2021 il tasso di fertilità totale a livello mondiale era pari a 2,27, ma già nei prossimi due decenni potrebbe scendere sotto la soglia del 2,1.
Esistono tuttavia delle zone grigie anche tra le pieghe dei numeri della demografia: incentivi governativi, cambiamenti culturali o progressi tecnologici potrebbero infatti determinare un aumento dei tassi di fertilità.
Per quanto riguarda l’immigrazione, dal momento che la Terra si trova ancora in una fase di declino demografico su base netta, il ruolo delle dinamiche migratorie è relativo, poiché queste possono solo spingere singole regioni a guadagnare abitanti a danno di altre.
Sul fronte ambientale, ritenere il calo demografico un vantaggio per l’ambiente è fuorviante, come dimostra il fatto che negli ultimi decenni le economie globali sono già diventate meno avide di risorse naturali, nonostante i nuovi picchi demografici.
Il calo demografico implica, invece, una crescita economica più lenta se i tassi di aumento della produttività (cioè il rapporto tra numero di lavoratori e produzione nel tempo) restano in linea con i dati storici.
Se la popolazione diminuisce, il pil complessivo faticherà a salire anche in presenza di una crescita della produttività media.
L’unico modo per arginare il problema consiste nell’incrementare la produttività per compensare il calo demografico, che altrimenti correrebbe il rischio di tradursi in un pesante fardello fiscale, soprattutto se con l’invecchiamento della popolazione crescono parallelamente anche i costi di pensioni e sanità pubblica.
La contrazione della forza lavoro può comportare un aumento dell’inflazione e, di conseguenza, dei tassi di interesse.
Uno scenario molto diverso rispetto all’epoca della Grande Moderazione, periodo iniziato nella seconda metà degli anni 80 e durato fino al 2008, durante il quale i Paesi sviluppati hanno beneficiato di tassi di interesse bassi e in calo e inflazione contenuta.
Il rallentamento della crescita demografica e l’invecchiamento della società potrebbero spostare le rotte migratorie verso climi più caldi, con il conseguente crollo del mercato immobiliare nelle zone spopolate.
La combinazione tra invecchiamento della popolazione e calo delle nascite potrebbe anche dar luogo a un fenomeno sociale unico e affascinante: nei luoghi dove vivono più famiglie con un solo figlio, con entrambi i nonni in vita e due adulti che crescono e accudiscono il bambino, i giovani potrebbero godere di un’attenzione senza precedenti da parte della società.
In conclusione, è bene ribadire che non esistono scenari immutabili e che il panorama demografico offre nuove possibilità, anche a dispetto di numeri e proiezioni che possono sembrare solo fonti di problemi.