Il presidente Donald Trump ha firmato un ordine esecutivo che riduce retroattivamente i dazi su alcuni prodotti agricoli come caffè, carne bovina, pomodori e banane.
La mossa della Casa Bianca arriva in un momento di forte pressione a causa del caro vita. Il presidente Usa aveva puntato sulle tariffe per stimolare la produzione interna e l’economia statunitense.
Ad aprile scorso, Trump aveva imposto dazi cosiddetti “reciproci” di almeno il 10% sulla maggior parte dei prodotti importati, tariffe applicate anche alle materie prime agricole.
“Abbiamo solo ridotto leggermente alcuni alimentari come il caffè”, ha dichiarato il presidente Usa, “dico che potrebbero, in alcuni casi, avere questo effetto. Ma in larga misura sono stati sostenuti da altri Paesi”.
Il brusco ritiro della politica tariffaria su tanti prodotti alimentari arriva dopo che dalle urne è arrivato un chiaro segnale della preoccupazione degli elettori per il costo della vita, con le vittorie dei Dem.
La reazione dell’ad di Illycaffè, Cristina Scocchia, è stata positiva: “Accogliamo con favore questa notizia, che rappresenta un’iniezione positiva e un’opportunità di rafforzamento in un mercato di primo piano a livello globale. È un segnale di distensione che incoraggia gli investimenti e crea nuove opportunità di crescita, migliorando la marginalità e accelerando le opportunità di sviluppo negli Stati Uniti”.
In attesa dell’ufficialità della decisione dell’amministrazione americana, Scocchia aveva detto: “Ci vorrà parecchio tempo per avvertire l’effetto di un’eventuale riduzione dei dazi sui prezzi, perché tutti noi compriamo il caffè 6-9 mesi prima di tostarlo, confezionarlo e metterlo sul mercato”.
“La media storica tra il 2015 e il 2021, per sei anni, è stata tra 100 e 130 cents alla libbra, quasi una commodity a prezzi fissi. Adesso siamo a più di tre volte tanto e purtroppo da molti mesi ormai”, ha sottolineato Scocchia.
Nel 2024 il prezzo medio è passato dai 100-130 cents alla libbra a 280-300 cents e adesso è a 400. Le aziende hanno acquistato e stanno comprando nelle ultime settimane a prezzi superiori ai 400 cents per libbra.
“Anche se si verificasse un taglio delle tariffe nelle prossime settimane, è ovvio che l’impatto sul mercato sarebbe visibile solo nella seconda metà del 2026”, ha aggiunto.
Dal punto di vista del consumatore finale, rispetto al 2021, il prezzo della tazzina al bar è salito del 20%, arrivando a 1,22 euro rispetto a un euro del 2021.
“La quotazione del caffè da due anni a questa parte ha assunto un valore che non ha nulla a che fare con l’economia reale. Non è più decisa da madre natura, ma è determinata soprattutto dalle speculazioni”, osserva la top manager.
Con le prolungate tensioni sui prezzi, le aziende vedono una compressione dei margini molto significativa. “Noi abbiamo deciso di riversare circa un terzo dell’aumento dei costi della materia prima sul prezzo finale e di accettare per i restanti due terzi una contrazione della nostra marginalità: ci è sembrato l’approccio più giusto”.
“Noi stiamo continuando ad investire, certi che questa tempesta perfetta finirà. E vogliamo che in quel momento l’azienda sia nella posizione competitiva più forte possibile”.
Investimenti anche oltreoceano: “Stiamo valutando tutte le possibilità, da quella di costruire da zero un impianto che produca alcuni dei prodotti destinati al mercato locale. Ci tengo a sottolineare che non c’è alcuna intenzione di trasferire nulla di ciò che produciamo a Trieste negli Stati Uniti. La seconda possibilità, una soluzione che ridurrebbe i tempi, è creare partnership con copacker locali che ci permetterebbero di garantire questa produzione in loco. Per fine anno o inizio del prossimo dovremmo essere in condizione di annunciare la nostra decisione”.
“Sicuramente al di là dei dazi, gli Stati Uniti, il nostro secondo mercato dopo l’Italia, dove abbiamo il 20% del nostro fatturato, meritano una produzione in parte locale”, conclude Scocchia.
“Un terzo di tutto il caffè importato dagli Stati Uniti arriva dal Brasile ed è tantissimo. In questo momento i produttori americani ovviamente non vogliono importare il caffè pagando il 50% di dazio con un costo fuori da ogni logica finanziaria. Quindi è vero che negli Stati Uniti l’offerta è inferiore alla domanda, ma è a causa delle tariffe, perché se noi guardiamo invece a ‘madre natura’, come mi piace definirla, il totale di tonnellate disponibili a livello globale è superiore alla domanda, quindi non c’è ragione per cui questo prezzo sia così alto”.
Il vicepresidente del Brasile, Geraldo Alckmin, ha affermato che i prodotti brasiliani esportati negli Stati Uniti, tra cui caffè, carne bovina e frutta tropicale, sono soggetti a un dazio del 40%. Effetti derivanti dal taglio delle tariffe ritenuti troppo scarsi da Alckmin: “Continueremo a lavorare per ridurli ulteriormente”.








