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[Intervista esclusiva] Dario Odifreddi (Presidente Piazza dei Mestieri): «Educazione e produttività. La scuola può far ripartire l’economia del Paese. E vi spiego come»

Dario Odifreddi, Presidente della Piazza dei Mestieri e della Compagnia delle Opere del Piemonte, ha rilasciato un’intervista esclusiva al think thank magazine dell’Osservatorio “Riparte l’Italia”.

Il rapporto tra la formazione e la ripartenza del nostro Paese ha rappresentato il cuore del suo intervento, con l’obiettivo di trovare un punto di equilibrio tra educazione ed economia.

La vera sfida del mondo educativo di oggi è fare in modo che “nessuno si perda“, che è il motto (e la sfida quotidiana) della Piazza dei Mestieri, di cui è Presidente.

Di seguito l’intervista completa.

D. Come avete iniziato questo nuovo anno formativo in considerazione delle difficoltà imposte dall’emergenza sanitaria?

L’inizio è stato davvero complicato, i nostri ragazzi avevano già subito il contraccolpo del primo lockdown con le chiusure dello scorso anno formativo. Nonostante il grande sforzo dei nostri insegnanti e dei tutor della Piazza dei Mestieri che, con passione e creatività hanno usato tutti gli strumenti possibili di formazione a distanza, la fatica si faceva sentire. Alla fine dell’anno, comunque, i nostri 5.000 ragazzi (tra Torino e Catania) non sono rimasti soli e ben il 95% di loro ha continuato un rapporto quotidiano con i propri insegnanti.

In quei mesi abbiamo imparato tante cose, dal ripensare a una didattica a distanza che non fosse la banale ripetizione di contenuti e metodologie adottate in presenza, a immaginare percorsi personalizzati e/o a piccoli gruppi per sviluppare le attività di laboratorio e per mantenere quel filo del rapporto che resta indispensabile nell’avventura educativa. In particolare, i percorsi di formazione professionale con la loro forte valenza di attività in alternanza, hanno bisogno di essere svolti in presenza. Per questo chiediamo a gran voce di evitare il più possibile prolungate chiusure per scongiurare il rischio di conseguenze psicologiche e di “buchi” nella preparazione didattica i cui effetti rischiano di accompagnare i nostri giovani per tutta la loro vita futura.

Mentre tutti gli altri paesi europei tendono a chiudere tutto prima delle scuole e della formazione professionale in Italia accade il contrario. È necessario potenziare le presenze di medici nelle scuole, attivare test salivari a tappeto, rafforzare il trasporto pubblico e privato, gestire entrate in orari diversi, investire in sicurezza e in tecnologie adeguate.

D. Secondo la Banca Mondiale, quasi 7 milioni di studenti dall’istruzione primaria a quella secondaria potrebbero abbandonare gli studi a causa dello shock economico sociale prodotto dalla pandemia. Come si può provare ad arginare questo fenomeno in Italia, in modo concreto?

Innanzitutto, bisogna agire su un fenomeno devastante, la vera bomba ad orologeria della caduta dei tassi di natalità che ci vede fanalino di coda nel mondo; tutte le proiezioni dimostrano che ci avviamo ad essere una società di vecchi senza ricambio generazionale. Un dramma umano che diventa anche economico, ma soprattutto segno di una mancanza di speranza. Un problema certamente culturale, ma anche figlio dell’assenza di politiche a sostegno della famiglia e di politiche che combattano la dispersione scolastica e accompagnino i giovani nella non facile transizione tra sistemi educativi e inserimento lavorativo.

Il 23,4% dei giovani italiani tra i 15 e i 29 anni non studia e non lavora, i 2/3 dei bambini con genitori senza istruzione superiore restano allo stesso livello e solo il 62,2% delle persone tra i 25 e i 64 anni in Italia ha almeno un titolo di studio di livello secondario a fronte di una media Ue del 78,7%. La quota di popolazione con titolo di studio terziario continua a essere molto bassa: il 19,6% contro il 33,2% dell’Ue. Solo il 41% degli adulti partecipa ad attività di formazione (contro il 52% in Germania e il 51% in Francia); il 47% degli italiani è analfabeta funzionale, cioè è incapace di usare in modo efficace le abilità di lettura, scrittura e calcolo nelle varie circostanze della vita quotidiana.

Un quadro drammatico, strutturalmente presente in Italia, che si è aggravato ulteriormente con la crisi del 2009 e la pandemia. I giovani sono quelli che hanno pagato di più sia in termini di occupazione, sia a livello di retribuzione media.

Stiamo vivendo una situazione di inedito shock contemporaneo della domanda e dell’offerta nelle economie a livello globale, e questo ci richiede di agire contemporaneamente, sul capitale umano in termini di skills (qualificazione dell’offerta di lavoro) e sui livelli di occupazione (sostegno della domanda di lavoro). È questa, tra le altre cose, l’unica via per rafforzare contemporaneamente competitività e produttività del sistema economico del nostro Paese.

Tutte queste considerazioni ci spingono a metterci in campo affinché “nessuno di perda” che è il motto (e la sfida quotidiana) della Piazza dei Mestieri.

Il primo passo che ritengo decisivo è quello di rafforzare un’infrastruttura formativa che sappia valorizzare le eccellenze presenti in Italia dando vita a quella rete che è alla base del successo di molti paesi in cui i tassi di disoccupazione giovanile e il mismatch tra domanda e offerta di lavoro sono assai più contenuti.  E questa è anche la strada per affrontare le sfide legate ai nuovi modi di lavorare e alla ridefinizione degli stili di vita che sono le sfide implicite dell’evoluzione in atto, sia a livello culturale, sia nella rivisitazione dei modelli economici e di sviluppo.

Il potenziamento dell’offerta formativa per i giovani passa da almeno quattro passaggi:

  1. Consolidamento dell’esperienza del sistema duale promosso dal sistema della I&FP che, partito in Italia in via sperimentale da pochi anni, ha già dimostrato la sua efficacia con i suoi percorsi di alternanza rafforzata e di inserimento lavorativo in apprendistato di primo livello.
  2. Potenziamento dell’offerta formativa in obbligo scolastico: la scarsa diffusione dei percorsi di Istruzione e formazione professionale (I&FP) (legge 53/2003 c.d legge Moratti) è uno dei grandi ritardi nel combattere la dispersione. Ci sono Regioni che dopo quasi vent’anni non hanno ancora attivato questa offerta. Al contrario dove si è strutturata i tassi di dispersione sono scesi significativamente e si è avuto un contributo positivo nell’inserimento lavorativo dei giovani a partire da quelli che partivano da situazioni di disagio.
  3. Rafforzamento del sistema degli ITS (Istruzione Tecnica Superiore). I nuovi posti di lavoro saranno principalmente nelle filiere che più si avvarranno dell’evoluzione della tecnologia in ogni campo, ed è del tutto evidente la necessità di strutturare un sistema per formare tecnici specializzati nel sistema della formazione terziaria non accademica come accade in molti altri paesi. Gli ITS (istituiti con dpcm del 2008) hanno tassi di finalizzazione occupazionale superiori in media all’80% con punte del 100% e rispondono all’esigenza delle imprese di trovare i nuovi profili professionali che tanta fatica fanno a trovare
  4. Azioni per il Sud. Resta ancora un eccessivo divario tra le diverse aree del Paese. Servono azioni di grande impatto, coordinate a livello nazionale che possano diventare motori di sviluppo dei sistemi di I&FP e di politiche attive in questi territori. La nuova fase di garanzia giovani è una grande opportunità da non perdere in questa direzione
D. Considerato che esistono molte evidenze sulla relazione tra capitale umano, reddito e crescita economica, si stimano perdite di reddito tra i 350 e i 1.400 dollari all’anno per ciascun studente penalizzato, a causa delle minori opportunità di lavoro e guadagno di cui potranno godere i futuri lavoratori oggi studenti. A livello globale, una chiusura scolastica di 5 mesi potrebbe generare perdite di capitale umano che hanno un valore economico attuale di 10 trilioni di dollari. Questi dati fanno riflettere sulla necessità di ripensare il rapporto tra il mondo della scuola e quello del lavoro. Su quali leve agire?

Ancora una volta c’è da risolvere un problema culturale che contrappone educazione e lavoro, scuola e impresa, col risultato di pensare che il bene dei nostri giovani sia stare a scuola il più possibile e immaginando il lavoro come una dimensione che anziché maturare in parallelo al percorso educativo debba essere rimandata il più possibile.

Mi permetto di citare, come esempio di cosa si può fare, la nostra esperienza di Piazza dei Mestieri sapendo che altre realtà (purtroppo ancora troppo poche) sia formative, sia scolastiche si sono mosse in questa direzione

Sin dall’inizio nel 2004 avevamo intuito che uno dei problemi principali era legato alla difficoltà dei giovani adolescenti nell’assumersi delle responsabilità, anche  nelle cose più semplici come rispettare un compito, un orario, un superiore, etc. Spesso perdevano il lavoro  appena trovato e venivano in piazza dicendoci cose del tipo : “il motorino si è rotto e sono arrivato tardi per 3 giorni di fila”, “la mamma non mi ha svegliato”; “ho insultato il datore di lavoro.

Insomma, ci diventava chiaro che la sfida era quella di accompagnare questi ragazzi, molti dei quali con situazioni difficili, anche nel periodo dell’inserimento lavorativo. Dovevamo guidarli nello stare di fronte ai dati che la realtà pone, e da cui non si può prescindere, come ad esempio l’orario di entrata. Cosi abbiamo iniziato a pensare a un modo per passare con i ragazzi più tempo, a un luogo più bello e strutturato, in cui si potessero sfidare le molteplici forme in cui si evidenzia il desiderio di un adolescente.

Era evidente che conoscenze e competenze erano necessarie, ma non sufficienti a sostenere la crescita di questi ragazzi; la sfida educativa era a tutto tondo e chiedeva di investire l’intera vita dei giovani coinvolti. Per questo sin dal primo anno abbiamo dato vita a un cartellone di eventi culturali (circa 70 all’anno) che andavano dalle rassegne Jazz a quelle teatrali, dai “concorsi” di mestiere a quelli di Poesia e Prosa (questi ultimi da alcuni anni coinvolgono scuole di tutta Italia). Come diceva Marika “questa scuola è talmente bella e rara che non mi sembra vero di essere qui, non è solo una scuola e anche un punto di ritrovo per tutti noi studenti”.

Ma indubbiamente la grande innovazione della Piazza dei Mestieri ha coinciso con la sfida di far coesistere l’attività educativa e quella produttiva. Per questo abbiamo creato veri luoghi di lavoro all’interno della Piazza. Ci sono un Ristorante e un Pub (premiati dalle principali guide di settore) aperti al pubblico in cui i nostri ragazzi possono avere un rapporto reale con i clienti (sia come attività di stage, sia come vera e propria attività retribuita). È nata la bottega che vende i prodotti nati nelle nostre fabbriche del cioccolato, dei prodotti da forno, della birra. Nel tempo i nostri prodotti e i servizi (come quelli offerti dalla tipografia) hanno conquistato un loro mercato nella competizione dei rispettivi settori.

In tutti queste realtà produttive, sotto gli occhi attenti di professionisti di eccellenza i nostri ragazzi si misurano con la realtà del lavoro, se sbagliano c’è il tempo di riprenderli, di offrirgli un’altra chance. E’ incredibile come il lavoro li butti con più energia e passione nell’avventura della conoscenza; si sentono protagonisti, vogliono essere all’altezza e scoprono i loro talenti, come dice una nostra allieva “mi sono iscritta a questa scuola perché la mia passione diventasse realtà”.

La Piazza si configura così come un modello innovativo di alternanza continua che, attraverso l’esperienza concreta consente, da un lato, ai saperi generali di divenire conoscenze operative e, dall’altro, grazie allo sviluppo delle conoscenze teoriche, di acquisire la capacità di trasferire in situazioni diverse quanto appreso con l’attività pratica.

D. Nei primi mesi del 2021 arriveranno le risorse economiche stanziate dall’Unione Europea per far fronte all’emergenza mondiale. Come possono essere concretamente utilizzate queste risorse per mettere le basi per una vera ripartenza dell’Italia?

In un paese che deve affrontare le sfide della transizione tecnologia e della sostenibilità ambientale e sociale ci vuole il coraggio di nuove politiche che ridiano slancio al nostro sistema economico, perché la ricchezza bisogna crearla per distribuirla con buona pace di chi crede che basta “stampare moneta” e fare debito distribuendo risorse a pioggia secondo un modello di assistenzialismo diffuso.

Per raggiungere questo obiettivo è indispensabile investire sui giovani e sulla loro educazione. Ed è per questo che FORMA (l’associazione italiana a cui aderiscono i principali enti di formazione professionale e realtà quali Acli, Cisl, Confap, Confartigianato, Coldiretti, Confcooperative, Compagnia delle Opere, MCL) ha lanciato un piano per la competitività e l’occupazione, da attuare con il Recovery Plan, che prevede un investimento in 5 anni di 6.7 miliardi di euro, di cui 4 da destinare alla retribuzione per l’inserimento lavorativo in apprendistato formativo potenziando l’offerta rivolta ai settori produttivi a maggior tasso di crescita e che porterà al lavoro 330 mila persone, in prevalenza giovani.

Lo strumento da utilizzare è quello dell’apprendistato formativo. Altri Paesi lo hanno già fatto e stanno cogliendo l’opportunità unica del Recovery plan per rafforzare un’infrastruttura formativa adeguata per competere nei prossimi anni.

D. La crisi legata all’attuale emergenza sanitaria sfocerà inesorabilmente in una crisi economica ed occupazionale. Per provare a prevenire questo fenomeno, ritiene possibile un allargamento del ruolo dell’istruzione e formazione professionale alla formazione degli adulti, specialmente disoccupati?

Questo è un altro tasto delicato che mostra il grave ritardo del paese nel mettere in atto delle vere politiche attive, una sfida largamente disattesa; siamo ancora fermi a una visione novecentesca incapace di aprirsi ai nuovi paradigmi che caratterizzano (e lo faranno sempre di più) il nuovo contesto competitivo mondiale.  Troppi pensano ancora che il baluardo dei lavoratori sia il vecchio totem dell’articolo 18 e conseguentemente pensano solo a politiche passive come la cassa integrazione, il reddito di cittadinanza, etc (cose pur utili in certi frangenti e per tempi limitati), mentre invece il vero articolo 18 dei nostri tempi è il diritto soggettivo alla formazione lungo tutto l’arco della vita.

Occorre un set di politiche formative e previdenziali che accompagni il lavoratore nel suo percorso fatto di cambiamenti e anche di periodi di inattività. Su questo aspetto pare decisiva un’innovazione che non riguarda solo le leggi, quanto piuttosto la capacità dei soggetti di rappresentanza di ripensarsi. Una contrattazione territoriale e aziendale meno vincolata da quella nazionale, una politica retributiva più legata alla produttività, una minor pressione fiscale sul lavoro con particolare attenzione a quello giovanile che rifugga da forme ondivaghe di decontribuzione che rischiano solo di generare distorsioni o successi effimeri di breve periodo, sono solo alcuni esempi di questo possibile percorso.

Il Fondo Nuova competenze per gli adulti di recente istituzione, a cui si affiancherà mi auguro una misura analoga per chi ha perso il lavoro, il reddito di cittadinanza (possibilmente rivisto e corretto) possono essere i primi ambiti in cui sperimentare una formazione per gli adulti innovativa nei contenuti e nelle modalità di erogazione.  In questa sfida decisivo è il ruolo che possono e devono giocare le istituzioni formative.

Siamo di fronte a una sfida che chiede a tutti (imprenditori, agenzie educative, politici, intellettuali, singole persone), di mettersi in gioco per non rompere definitivamente quel patto intergenerazionale che non solo è alla base dell’equità sociale, ma che è iscritto in ogni cuore non rattrappito dal cinismo e dal nichilismo

D. Sempre secondo la Banca Mondiale l’esclusione e la disuguaglianza saranno esacerbate se i gruppi già emarginati e vulnerabili, come le ragazze, le minoranze etniche e le persone con disabilità, saranno maggiormente colpiti dalla chiusura delle scuole. Avete in cantiere delle proposte per questi gruppi sociali?

Sin dalle origini la Piazza dei Mestieri si è caratterizzata per cercare di offrire un’opportunità a chi per qualsiasi motivo si trovasse in situazioni di vulnerabilità.

Oltre all’offerta formativa strutturata (3 o 4 anni) per il raggiungimento di qualifiche e diplomi professionali abbiamo dato vita a iniziative speciali.

Sono ormai decine i progetti realizzati a partire dal sostegno agli allievi delle scuole secondarie di primo e secondo grado per aiutarli a non perdere anni scolastici; è nata così la casa dei compiti che coinvolge ogni anno circa 400 ragazzi che per oltre il 90% migliorano il loro rendimento scolastico ottenendo la promozione.

Ci sono poi progetti per gli stranieri per il miglioramento dell’utilizzo e della conoscenza della lingua rivolti a circa 500 minori. Numerose anche le iniziative sul tema delle soft skills e dell’educazione digitale che abbracciano la fascia di età tra gli 11 e i 18 anni che coinvolgono oltre 4.000 allievi di diverse scuole statali, le loro famiglie e il corpo docente. Altri progetti sono focalizzati su temi specifici come l’orientamento o la lotta al bullismo.

Il Job Center della Piazza dei Mestieri nato per accompagnare al lavoro i nostri ragazzi delle I&FP è diventato nel tempo uno strumento per accogliere e accompagnare le persone fragili che ci vengono segnalate dai diversi attori del territorio (scuole, assistenti sociali, parrocchie, famiglie, etc).

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