Analisi, scenari, inchieste, idee per costruire l'Italia del futuro

Vi spiego cos’è l’eco-gender gap. E perché il mito del vero uomo danneggia l’ambiente | L’analisi di Chiara Vincenzi

C’è una reale correlazione tra la crisi climatica e la mascolinità tossica? Sembra un raccordo improbabile, quasi l’inizio di una brutta barzelletta, ma i dati raccolti da diverse ricerche evidenziano che potrebbe effettivamente esserci un nesso tra l’emergenza del clima e la performance della virilità.

Cos’è la mascolinità tossica?

Iniziamo dal principio, cosa significa mascolinità tossica? Uno studio pubblicato sul Journal of School of Psychology la definisce come «l’insieme di tratti [maschili] socialmente regressivi che servono a favorire il dominio, la svalutazione delle donne, l’omofobia e la violenza insensata» e molti altri comportamenti che sono direttamente influenzati da questa visione del mondo. Il suo impatto sulla società è estremamente ampio (aggressività, violenza domestica, misoginia, omotransfobia e molto altro), nei rapporti personali e nelle relazioni sessuali, ma colpisce anche la sfera individuale con un’influenza diretta sulla salute mentale (non a caso, il tasso di mortalità per suicidio è altissimo tra gli uomini). Ebbene sì, le prime vittime della mascolinità tossica sono proprio gli uomini.

Regimi di sostenibilità

Come è ormai risaputo, la dieta vegetariana e quella vegana in particolare sono le più sostenibili per il pianeta: producono mediamente meno emissioni di C02, sfruttano meno terreno, consumano meno acqua e creano meno scarti produttivi dannosi. D’altronde, secondo le stime della FAO, l’industria dell’allevamento da sola produce il 18% delle emissioni mondiali di gas serra. Secondo quanto riportato dall’International Journal of Environmental Research and Public Health, la dieta vegana ha addirittura un impatto minore del 44% rispetto alla dieta mediterranea, che ha già un basso contenuto di prodotti d’origine animale. Insomma, la sostenibilità alimentare – soprattutto laddove si prediligono prodotti locali e di stagione – può certamente essere una valida risposta alla crisi climatica.

Ma i vantaggi di un regime alimentare vegano o vegetariano non riguardano la sola sostenibilità ambientale. Infatti, secondo la rivista scientifica BMC Medicine, una dieta plant-based può comportare una riduzione del rischio di tumore all’intestino pari al 22% proprio negli uomini (riduzione che invece non si riscontra nelle donne).

Eco-gender gap

Un recente report dell’Istat ha evidenziato come, per oltre la metà della popolazione di 14 anni e più (56,7%), nel 2022 i cambiamenti climatici siano ancora al primo posto tra le preoccupazioni per l’ambiente – in crescita rispetto al 2021. Anche un sondaggio promosso dal WWF e condotto da EMG Different ha sottolineato che la crisi climatica è molto o abbastanza preoccupante per 8 giovani su 10 (77%). Eppure, sembrano esserci ancora forti resistenze su temi e iniziative che sono strettamente correlati alla difesa dell’ambiente e la sostenibilità. Insomma, quasi tutti sembrano d’accordo sull’urgenza critica rappresentata dalla crisi climatica, ma in pochi sembrano intenzionati a mettere in discussione le proprie scelte e abitudini, meno di tutti gli uomini.

Per spiegare questo fenomeno è utile introdurre il fenomeno dell’eco-gender gap, termine utilizzato per descrivere la differenza di consapevolezza ambientale e di comportamento ecologico tra uomini e donne. Secondo una ricerca di Mintel (2018), il 71% delle donne prova a vivere in maniera più sostenibile, a fronte del 59% degli uomini. Ciò riguarda diversi aspetti dell’impegno per la salvaguardia dell’ambiente: dalla conservazione delle risorse d’acqua (33% delle donne contro il 28% degli uomini), allo spreco alimentare (38% contro il 30%), fino alla raccolta differenziata (77% contro il 67%). Dando per scontato il fatto che queste attività non richiedono nessun tipo di predisposizione biologica (la predisposizione al lavoro di cura è un fenomeno sociale e non biologico), perché questo distacco?

Uno studio del “Journal Sex Roles” (2020) ha evidenziato che gli uomini potrebbero essere scoraggiati dal portare con loro buste della spesa riutilizzabili, fare la raccolta differenziata o mettere in atto comportamenti virtuosi per l’ambiente, per paura di essere percepiti come “troppo femminili” o “gay”. A sostenere questa tesi ci sono diversi altri studi che fanno riferimento al 2016 e al 2014. Insomma, tutto ciò che concerne la cura della ambiente e degli spazi comuni riguarda le femmine, mentre la distruzione e la brutalità rimangono cose da uomini.

Il mito del “vero uomo”

Un panetto di tofu o un’insalata possono davvero mettere a rischio la mascolinità? Per quanto possa suonare irragionevole, qualcuno teme ancora di sì. Gli uomini scelgono di mangiare carne e si astengono da diete vegetariane e vegane, considerate più femminili, per riaffermare la propria mascolinità. Esiste, infatti, ancora un forte stigma legato a uno stile alimentare più sostenibile, che coinvolge nello specifico gli uomini. Secondo un articolo di Anne DeLessio-Parson, l’alimentazione vegetariana in società patriarcali, dove mangiare carne è un sintomo di mascolinità, rappresenta un punto di rottura nella cultura del cibo e la violazione di una norma di comportamento.

Questo concetto è confermato da un’analisi di Vegan Society sulla “Hegemonic Masculinity theory” di R.W. Connell, che ha evidenziato come la pressione sociale giochi un ruolo fondamentale nel rafforzare comportamenti intesi come “mascolini”, scoraggiando di conseguenza quelli eccessivamente “femminili”. In un esperimento, «tra 10 partecipanti, 8 hanno ricevuto reazioni negative da parte di altri uomini quando hanno rilevato di essere vegani». La paura di possibili ripercussioni sociali è ancora molto alta negli uomini e non è certo per caso: questo timore serve come mezzo di regolazione del comportamento.

D’altronde, un risultato del genere non dovrebbe sorprendere troppo chi è vicino al tema. Questo tipo di mascolinità può funzionare solo grazie al suo apparato di autosorveglianza interna, che risulta estremamente efficace: gli uomini si osservano tra loro e scoraggiano chi fa parte del “gruppo” a superare i suoi confini ben delineati, pena l’esclusione sociale e la derisione collettiva.

Lo stesso pressante monitoraggio impedisce agli uomini di esprimere liberamente sé stessi in ogni aspetto della loro vita, ostacolando la loro crescita emotiva utilizzando la vergogna e l’emarginazione come strumento di controllo. Al mito degli “uomini veri” si contrappone quello dei cosiddetti “soy boys”, termine dispregiativo che viene utilizzato per indicare “uomini deboli”, che si lega al consumo di prodotti a base di soia che in questo contesto, senza reale attinenza ai fatti, si presume danneggi la virilità.

Un modello insostenibile

Questo tipo di approccio è insostenibile, sia a livello sociale che ambientale. Ma dai numeri cominciano a scorgersi segnali di una trasformazione positiva. Secondo le stime dell’indagine Eurispes, in Italia il 6,9% delle donne sceglie un’alimentazione vegetariana, contro il 4,7% degli uomini. Mentre, per quanto riguarda i vegani, sono maschi per il 2,7% contro il 2% delle donne. È bene evidenziare, però, che la maggior parte degli uomini dichiarano di scegliere di seguire un’alimentazione vegetariana o vegana per ragioni legate alla salute, mentre per le donne la motivazione preminente è la compassione e il rispetto per gli animali.

La società dovrà presto adeguarsi a vivere in un mondo dove il cambiamento climatico non è teoria ma pratica quotidiana. Lo si vede già dagli eventi meteorologici estremi che si manifestano con una sempre maggiore frequenza in Italia e nel mondo. Per molti sarà difficile abbracciare un approccio che sia costruttivo, avvicinandosi a una nuova routine centrata sulla cura dell’ambiente e non il suo sfruttamento.

Sarà faticoso soprattutto in contesti dove la virilità è ancora una moneta di scambio preziosissima. Si è già visto in analoghe situazioni di emergenza, come nel corso della pandemia, quando portare la mascherina veniva definito da qualcuno (tra cui l’ex presidente USA, Donald Trump) come un esercizio di femminilità – sia per l’aria di invulnerabilità prescritta dalla mascolinità tossica, sia per il risvolto protettivo e quindi materno dell’indossare uno strumento di protezione. Ma, per quanto possa essere forte il disagio sociale, questa divisione infondata non può permanere: la sostenibilità ambientale non può permettersi di portare una coccarda rosa addosso.

SCARICA IL PDF DELL'ARTICOLO

[bws_pdfprint display=’pdf’]

Iscriviti alla Newsletter

Ricevi gli ultimi articoli di Riparte l’Italia via email. Puoi cancellarti in qualsiasi momento.

Questo sito utilizza i cookie per migliorare l'esperienza utente.