Impatto dei cambiamenti climatici, sistemi di misurazione e capacità predittiva: di questo ha parlato Carlo Cacciamani, Direttore Agenzia Nazionale Italia Meteo, durante il suo intervento al Panel “I cambiamenti climatici e i prossimi scenari: salute, economia e territori” agli Stati Generali della Ripartenza organizzati a Bologna dall’Osservatorio economico e sociale Riparte l’Italia. Riportiamo di seguito il suo intervento integrale.
I cambiamenti climatici
La prima immagine che abbiamo tutti chiara quando si parla di cambiamenti climatici è l’aumento della temperatura globale e la cosa importante da dire è che questo aumento negli anni non è stato omogeneo, negli ultimi 40-50 anni ha avuto un’accelerazione del processo. Questa accelerazione nel passato della storia del nostro pianeta l’abbiamo vista, c’era una terra completamente diversa da quella di adesso, non c’erano i sapiens, non c’era la vita come la concepiamo adesso, la stessa struttura e distribuzione delle terre emerse non era quella di adesso. Era un altro pianeta sostanzialmente. La terra ha circa 5 miliardi di anni, quindi parliamo di un tempo lontano, però nella sua storia la terra ha avuto anche momenti di crisi però non c’era l’antropizzazione che c’è oggi.
Vivendo in questo sistema, confrontando per esempio il clima dove vivo io e quello che vivrà mia figlia tra trent’anni siamo su due aspetti diversi. Questo perché l’aumento della temperatura globale porta con sé l’aumento degli eventi estremi, perché la temperatura è più calda, è più instabile, e quindi è come se “bollisse” più spesso, se posso usare questa metafora.
L’esposizione al rischio in Italia continua ad aumentare
E quindi, se ci sono più eventi estremi, siccome le condizioni di rischio sono determinate dalla combinazione dei fenomeni pericolosi meteo-ambientali con la vulnerabilità dei territori e le esposizioni dei territori che anch’esse sono cresciute, le condizioni di rischio sono altrettanto cresciute. Quindi viviamo in una terra, in un mondo più “soggetto a rischio” di quanto non fosse qualche anno fa e questo trend di crescita sta aumentando in maniera molto molto rapida, al punto che facciamo fatica a pensare di ridurlo.
È come se stessimo in un pullman che sta andando ad una velocità fortissima in una terra che non è perfettamente asfaltata sapendo che in fondo, dall’altra parte, ci potrebbe essere anche un burrone. Dobbiamo assolutamente frenare alcune cose.
Il contributo dell’uomo al cambiamento climatico
Il cambiamento climatico non è una cosa esterna, è una cosa che abbiamo determinato noi. Quindi gli effetti di accelerazione che ci sono stati sono dovuti all’antropizzazione. Ormai è assolutamente certo che c’è stato un effetto umano, tant’è che se usiamo i modelli di misurazione del clima per riprodurre il clima osservato e non inseriamo il contributo antropogenico delle emissioni del gas e dell’effetto serra non ritroviamo il clima osservato, cioè lo troviamo solo se inseriamo l’effetto dell’uomo. Quindi l’uomo è diventato per la prima volta nella storia da quando è venuto a esistere che è in grado di modificare il sistema climatico. Questo anche semplicemente dal punto di vista filosofico è sconvolgente, perché non siamo più spettatori di quello che la natura ci presenta, ma siamo attori.
Quindi il cambiamento climatico è una cosa che abbiamo generato noi che in questo momento ci si sta rivolgendo contro. Siamo un po’ la causa del nostro male, ma questa è anche un po’ una buona notizia, perché se siamo stati la causa del nostro male possiamo anche essere la causa per risolverlo. Fosse stato un meteorite, avremmo poche chance.
Il Mediterraneo è un hotspot
In generale, nel bacino del Mediterraneo che è considerato un hotspot dove c’è anche l’Italia l’aumento delle temperature è maggiore rispetto al resto del pianeta ed è parecchio maggiore, si parla di più di 2 gradi in 100 anni. Quindi su scala locale è maggiore.
Gli effetti certi sono sulla risorsa idrica, che purtroppo d’estate ne avremo sempre meno perché la durata e la frequenza di periodi secchi e di ondate di calore sta già aumentando. Basta andare sul sito dell’Ispra e lo vedete facilmente, il numero delle ondate di calore dal 1980 in poi è decollato. E le ondate di calore hanno forti ripercussioni sulla sanità perché le persone più fragili hanno problemi.
In Italia quindi abbiamo impatti sicuramente maggiori di quelli che possiamo vedere in altre parti della terra. In più viviamo in un Paese estremamente vulnerabile dal punto di vista degli effetti che si possono avere sul rischio: abbiamo un sacco di frane, abbiamo il rischio idrogeologico ma anche il rischio idraulico. Non ci facciamo mancar niente, da questo punto di vista. E poi soprattutto siamo un territorio estremamente esposto, perché ci vivono e ci abitano una quantità grandissima di persone e questa è la terza componente del rischio. Noi viviamo in un Paese estremamente a rischio.
La tecnologia e la misurazione del clima
Da un punto di vista strettamente tecnico e scientifico, i sistemi con cui noi modelliamo il clima e l’atmosfera naturalmente se il clima sta cambiando, le modalità con cui noi lo descriviamo attraverso le leggi della natura, il clima può aver modificato alcuni aspetti di questo tipo. E quindi una revisione anche dei sistemi di valutazione di scenari si rende probabilmente necessaria. Non lo sappiamo ancora, perché stiamo continuando ad usare dei modelli di misurazione del clima che abbiamo usato fino ad adesso.
È anche altrettanto vero che siccome le condizioni di rischio non derivano soltanto da questo aspetto ma derivano anche dalla vulnerabilità e dall’esposizione del terreno, è evidente che quello che noi stiamo riscontrando e che riscontreremo è un aumento della frequenza degli eventi estremi.
Facciamo un esempio concreto. L’alluvione della Romagna è avvenuta a maggio, abbiamo avuto nei due eventi dal 1° al 4 maggio e poi a cavallo dal 16 al 18 maggio, quindi in 8 giorni, quello che normalmente piove in metà anno. Tra l’altro in un periodo che non è novembre. Perché a novembre abbiamo avuto l’alluvione di Firenze, l’alluvione del Po nel ’94, nel 2000, cioè abbiamo avuto altri eventi, però a maggio no.
Quindi non c’è soltanto una modifica della tipologia degli eventi, questi eventi rapidi che avvengono dopo lunghi periodi di siccità, altro leitmotiv. L’alluvione della Romagna è avvenuta dopo 8 mesi di siccità.
Se voi andate a prendere un giornale fino al 28 di aprile, si parlava solo di siccità. Dal 1° maggio in poi si parlava solo dell’alluvione, è proprio il rovescio della medaglia, tant’è che gli effetti terribili che ci ha determinato questa alluvione, in buona sostanza sono anche stati determinati dal fatto che prima c’era la siccità, perché i terreni erano poco capaci di assorbire l’acqua e quindi questo ha aumentato drasticamente il ruscellamento che poi ha determinato l’esondazione di tutti i torrenti romagnoli, cosa mai successi prima. Stiamo parlando di un evento assolutamente eccezionale.
L’aumento degli eventi estremi
Se queste situazioni dovessero e ahimé oggi con gli strumenti che abbiamo che sono tutto sommato abbastanza già solidi, ci dicono che potranno aumentare in termini di occorrenza e di frequenza, questo significa che dovremo adattare anche il nostro modello di risposta. Anche il sistema di protezione civile dovrà essere più in grado di gestire eventi che non avvengono una volta ogni tanto ma molto più frequentemente, sollecitando quindi le popolazioni molto più spesso, mettendole in condizioni di rischio che sicuramente non abbiamo riscontrato fino ad adesso.
Certo, la domanda è: dovremo modificare i nostri sistemi di scenario? La risposta è probabilmente sì. I sistemi di previsione attuale già rispondono alla situazione che stiamo vivendo. Anche in Emilia-Romagna, il fatto che sia stata messa un’allerta rossa in previsione, che non è una cosa che si fa così frequentemente, e questa allerta rossa ha determinato per esempio l’evacuazione preventiva di più di 30 mila persone, con ciò determinando sicuramente un risparmio di perdite di vite umane che probabilmente avremmo avuto in maniera molto più copiosa, ricordiamoci che abbiamo avuto 17 perdite di vita umane, ma ne avremmo potute avere più di un centinaio se non ci fosse stata quell’allerta fatta così. Ma l’allerta fatta così deriva dal fatto che le previsioni meteo in quel momento erano state corrette.
Certo, c’è molto da lavorare, non voglio dire che siamo vicini alla perfezione, c’è comunque un’incertezza che va gestita, tanto più gi eventi sono di piccola localizzazione e di alta ampiezza, tanto più sono difficili le previsioni. È chiaro che la localizzazione delle previsioni nello spazio e nel tempo è più difficile, non saremo mai probabilmente in grado di dire: “Domani a Bologna nel quartiere Saragozza avremo 200 millimetri di pioggia mentre nel quartiere San Donato non pioverà neanche”, perché succede anche questo. Questo non potremo farlo, ma dire che la probabilità di un evento così intenso potrà averci anche un’area limitata già c’è adesso e ci sarà ancora di più in futuro.
E con questi sistemi e la loro incertezza dovremo gestire le nostre decisioni. Il problema che noi avremo sempre di più davanti è decidere sulla base di informazioni incerte. Che peraltro è quello che facciamo tutti i giorni nelle scelte della nostra vita, non c’è nulla che scegliamo che si basi su un’informazione certa. Per quanto riguarda i fenomeni calamitosi di origine naturale il rischio zero non esiste.
I big data e i sistemi di misurazione del clima
Oggi parliamo tantissimo di big data, di gestione dei dati. Uno degli aspetti più importanti è per esempio l’utilizzo dei dati nei sistemi di modellazione, tanti più dati noi abbiamo da immettere in un sistema di previsione tanto più corretta sarà la previsione che avremo.
E quindi quello è sicuramente un ramo fondamentale, quello che in gergo si chiama sibilazione dei dati.
Poi la descrizione dei processi fisici, dobbiamo mettere dentro molto effort proprio per cercare di capire le tante cose che non sappiamo, come la fisica delle nubi, l’interfaccia tra il suolo e l’atmosfera, ci sono tanti aspetti da essere migliorati.
Serve un nuovo modo di comunicare il clima
Un altro lavoro importante da fare è quello sulla comunicazione, perché noi possiamo essere i più bravi modellisti e meteorologi del mondo ma se poi non siamo capaci di comunicare o i cittadini non comprendono bene quello che noi vogliamo comunicare la nostra fatica diventa sterile. Quindi c’è anche un ponte da migliorare, ottimizzare, mettendo insieme anche competenze e culture diverse, la cultura di chi ha tipicamente una conoscenza più di tipo umanistico con chi ne ha una più scientifica. Oggi queste cose si fanno assieme, non esiste più che gli scienziati stanno da una parte, quelli della comunicazione dall’altra parte, quelli della pianificazione dall’altra ancora.
Dobbiamo metterci intorno a un tavolo, le competenze ci sono, dobbiamo farlo, ma siamo un po’ lenti in questo meccanismo di messa a sistema delle conoscenze. Potremmo migliorare.








