Nonostante una serie di misure per incentivare le nascite, il tasso di fertilità continua a scendere. C’è da dire che la spesa pubblica per “famiglia e figli” (% del PIL), nonostante una serie di iniziative recenti, rimane tra le più basse in Europa (1,1% del PIL, Eurostat 2022-2023, ben inferiore alla media UE (~1,6%), che equivale a 7–8 miliardi € annui di differenza.
Il fenomeno però ha una complessità maggiore e va inquadrato storicamente e nelle molteplici dimensioni. Intanto, il grosso inevitabile calo è avvenuto in Italia tra il 1975 e 85 ed è dovuto al “Paradosso della fertilità e dello sviluppo”. Più un paese diventa ricco, istruito e sviluppato, più si riduce il numero medio di figli per donna (fertilità totale). I paesi con alto reddito pro capite hanno istruzione femminile elevata, accesso alla sanità e ai contraccettivi, e alta urbanizzazione con costo della vita più alto. Questo porta inesorabilmente a una fertilità minore di 2.1 figli per donna (soglia di sostituzione).
L’Italia ha un tasso tra i più bassi al mondo (intorno al 1.2) ed ha raggiunto questo traguardo già nei primi anni 90. Una condizione intermedia si raggiunge in paesi come Svezia, Francia, Paesi Bassi, con fertilità sopra 1,5. La popolazione mondiale aumenta, ma solo per l’effetto di paesi poveri: si prevede che l’India diventerà il paese più popoloso con 1,64 miliardi di individui nel 2050.
Ma cosa ci distingue da Svezia, Francia e Paesi Bassi? Si enfatizzano le forti politiche familiari, i congedi parentali retribuiti (incentivando molto anche il congedo maschile), e il sostegno all’equilibrio lavoro-vita. Se guardiamo alla composizione della spesa pubblica, l’Italia, come tutti i paesi europei a bassa fertilità, si caratterizza, oltre che per l’elevato debito pubblico, per un peso enorme della spesa pensionistica e basso della spesa per servizi. Scelte ‘politiche’ che la nostra collettività ha fatto da decenni e che oggi paghiamo.
Aspettarsi comunque che la spesa pubblica spieghi e risolva tutto è altrettanto improprio. In Italia, l’uscita dei giovani dal nucleo familiare è tra le più tardive d’Europa (30 anni), e il 65% di giovani adulti (fascia 25-34 anni) vive ancora grazie al sostegno economico dei genitori, spesso alimentato da pensioni o rendite familiari. In Francia, Svezia e Paesi Bassi, si esce dal nucleo tra i 21 e 23 anni. La differenza è anche culturale, e non a caso in un recente film Checco Zalone l’ha usata per ridicolizzare questo costume italiano.
Di importanza assoluta sono poi le prospettive. Il tasso di occupazione femminile è basso nella comparazione, ma quello maschile ed il tasso di NEET (ossia i nullafacenti, not in education, employment, or training) sono tra i peggiori in assoluto. Sono le prospettive a lungo termine che spaventano i nostri giovani. Certo non si tratta di fattori ‘oggettivi’, se si pensa al grado di incertezza fronteggiato dai nostri nonni e bisnonni.
Si è molto discusso dell’esistenza di un problema specifico del Mezzogiorno, la cui natalità è calata più velocemente nell’ultimo decennio. In realtà i tassi di fecondità non differiscono tra nord e sud, mentre sono molto più bassi nel centro. E bisogna anche tenere presente che il tasso di fertilità delle regioni del nord è migliore per una maggiore quota di immigrati (il 30% delle nascite), che hanno una fertilità molto più alta degli italiani (1,78 vs 1,14). Tenendo conto dei soli italiani il tasso di fecondità del sud rimane più alto.
Cosa possiamo fare?
Come detto, i buoi in Italia sono fuggiti dal recinto circa 30 anni fa, quando abbiamo peraltro fatto delle scelte valoriali importanti come società, quella di preservare redditi e patrimoni degli anziani a scapito dell’indipendenza e delle prospettive dei giovani. E tutto il quadro, compresa la tarda età di uscita dei giovani italiani e la loro dipendenza finanziaria, conferma la coerenza del ‘modello italiano’. È difficile oggi invertire il trend con qualunque tipo di misura. Di tutte le misure che si potevano prendere però forse la più inutile è quella più popolare nel nostro sistema politico, il bonus nuovi nati.
Come al solito una dazione una tantum in denaro. Saremmo francamente stupiti e preoccupati se questa misura incentivasse la nascita di 1 solo bambino addizionale, probabilmente i genitori andrebbero privati della potestà genitoriale nel caso. Servizi e vantaggi sul lavoro possono aiutare di più. Ma senza invertire il declino italiano appare impossibile generare una percettibile inversione di tendenza.








