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[L’analisi esclusiva] Il pericoloso declino delle imprese in Italia, l’aumento dei fallimenti rallenterà la ripartenza

Nel pieno della terza ondata, la ripresa appare lontana.

Ma sappiamo già che le cicatrici che lascerà il virus sull’economia saranno dolorose, profonde e ci vorrà tempo per cancellarle. L’epidemia sta spazzando via un numero record di aziende e togliendo il lavoro ad un numero record di lavoratori.

Qui, la “distruzione creatrice” alla Schumpeter, che faccia spazio, sulle macerie di imprese decotte, a nuovi protagonisti vitali, non c’entra.

Vanno in crisi, soprattutto nel turismo e nell’intrattenimento, aziende che, senza il virus, avrebbero navigato senza problemi. Più ne affondano, meno leva avrà, per scattare, il rimbalzo post Covid, perché la massa delle aziende pronte a ripartire si sarà ridotta.

E’ la logica che spinge il governo a moltiplicare e prolungare gli interventi destinati a puntellare le aziende traballanti. Ci è, in parte, riuscito. Senza le misure del Tesoro per tamponare le crisi aziendali, i lavoratori messi per strada da imprese fallite sarebbero stati, secondo i calcoli della Banca d’Italia, il 50 per cento in più. Ma il risultato è spostare sempre più in avanti il momento in cui, inevitabilmente, quei puntelli saranno tolti, lasciando che la piena dei fallimenti defluisca.

Oggi, a che punto siamo? Le aziende che barcollavano già nella prima e seconda ondata, fra la primavera e l’autunno e che non sopravviveranno all’inverno, tanto più se venissero a mancare i puntelli del governo, fra cassa integrazione e garanzie sui debiti, si contano a decine di migliaia e a centinaia di migliaia i lavoratori a rischio. Un quadro più preciso emerge da una ricerca compiuta dall’ufficio studi di Via Nazionale, che distingue fra aziende puramente e semplicemente insolventi e quelle sottocapitalizzate, ovvero con il capitale sotto il minimo di legge, e che la Banca d’Italia definisce in crisi, perché non in grado di restituire i debiti, neanche se liquidassero tutti gli attivi. Insolventi, allora? No, perché il futuro degli eventuali debiti a lungo termine è ancora da definire.

Queste aziende sottocapitalizzate, nel 2018, erano l’8,5 per cento delle 662 mila Spa o Srl italiane. Dunque, un po’ più di 50 mila. Normalmente, dopo 3 anni, un terzo di queste aziende è ancora in attività, anche se sempre sottocapitalizzato. Gli altri due terzi hanno chiuso o sono fallite. Ma il Covid ha drammaticamente peggiorato questi parametri, decimando interi settori. Se la piena non ha seppellito il paese, è perché la rete di protezione messa in opera dal governo, giudica Bankitalia, ha funzionato.

Senza ammortizzatori, stima Via Nazionale, le aziende in crisi, nel corso del 2020, sarebbero schizzate, dalle 56 mila del 2018 a 94 mila, arrivando non all’8,5, ma al 14 per cento delle oltre 600 mila società di capitale italiane. I lavoratori a rischio sarebbero stati 1,2 milioni, una frana dalle conseguenze sociali difficilmente calcolabili. Gli interventi del Tesoro non hanno invertito la crisi, ma l’hanno tamponata. Di fatto, secondo la valutazione della Banca d’Italia, il governo ha impedito a 12 mila aziende di scivolare in uno stato di crisi, salvaguardando oltre 400 mila lavoratori.

Le conseguenze dell’epidemia, tuttavia, sono comunque pesantissime. Anche con il salvagente Gualtieri, le aziende con l’acqua alla gola per mancanza di capitale, a fine 2020 sono fra 82 e 84 mila, a seconda della carica pessimistica dello scenario ipotizzato, e i lavoratori a rischio fra gli 810 e gli 860 mila. Siamo al 12 per cento delle società di capitali in attività: il Covid ha fatto aumentare del 70 per cento, nell’arco di un tragico anno, il numero delle imprese con i bilanci sotto zero. E’ sbagliato, tuttavia, raffigurare queste imprese in difficoltà con le immagini di fabbriche e operai. Solo il 5 per cento delle imprese industriali è stata messa dal Covid sotto la linea di galleggiamento: essere scampati, nella seconda ondata della pandemia, a chiusure e quarantene, le ha aiutate. Dove, invece, la crisi ha colpito duro è fra alberghi, bar, ristoranti, concerti, cinema, spettacoli.

La percentuale di aziende ad un passo dall’insolvenza, in questi settori, è, normalmente, più alta della media. Il Covid ha fatto esplodere questa differenza. Nei settori legati al turismo, la quota di aziende in crisi è passata dal 16 al 42 per cento, quasi una su due. Nell’intrattenimento è quasi raddoppiata, dal 12 al 21 per cento. Per l’economia italiana sono settori cruciali.

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