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[L’intervento esclusivo] Alessandra De Savino (comunicatrice ambientale): «Siamo in una fase di emergenza climatica, fare qualcosa è ormai una questione etica»

I RELATORI

Alessandra De Savino è una comunicatrice che ha scritto diversi articoli, pubblicazioni e testi per video di divulgazione meteorologica, rivolgendo particolare attenzione alla comunicazione del rischio idrometeorologico e al tema dei cambiamenti climatici. Attualmente collabora con il Servizio IdroMeteoClima di Arpa Emilia-Romagna e con la Società Cervelli in Azione.

Riportiamo il suo intervento al webinar organizzato dall’Osservatorio economico e sociale Riparte l’Italia dal titolo “Clima, scenari futuri tra comunicazione e sensibilizzazione”. L’evento è stato moderato da Antonello Barone, ideatore del Festival del Sarà, ed ha visto la partecipazione anche di Emanuele Bompan, giornalista ambientale.

Dalla scienza alla divulgazione scientifica

Dobbiamo stare attenti al tema della polarizzazione della comunicazione. Purtroppo è una tendenza diffusa ed è anche frutto della semplificazione. Quindi nella nostra arena mediatica tendiamo ad avere questa polarizzazione che è anche una polarizzazione di emozioni.

La mia esperienza nella comunicazione del cambiamento climatico nasce nel 2012 quando ai convegni il problema era “come facciamo a raccontare che esiste un cambiamento climatico”. Nel 2012 il tema del cambiamento climatico era di appannaggio solo scientifico, e sono passati solo 10 anni.

Nel tempo questo è stato superato e di fatto se ne parla ovunque. Negli ultimi anni, soprattutto dal 2018 in avanti, non abbiamo più questo problema di parlarne o di ritagliarci uno spazio. Alla fine se ne parla con diversi linguaggi, perché se ne parla anche al cinema, con l’arte, ci sono diversi europei con i ragazzi proprio che puntano al racconto del cambiamento climatico attraverso l’arte.

Anche la Street art, anche lo stesso Banksy ha fatto qualcosa che rendesse evidente il cambiamento climatico per le strade di luoghi dove la gente va. Se ne parla sui social, ovunque. Quello che manca è l’approfondimento. Le informazioni sul climate change legate alle evidenze in questi anni ci sono state e c’è stata anche una escalation emotiva che passa dal cambiamento climatico al rischio climatico, alla crisi climatica, all’emergenza climatica.

La fase di emergenza climatica

Adesso viviamo in questa fase di emergenza climatica che da una parte ci aiuta a reagire, ci fa sentire la minaccia incombente e quindi ci dovrebbe stimolare all’azione, perché fondamentalmente parlare di questi temi ci dovrebbe portare alla conoscenza, perché la conoscenza ce l’abbiamo, fortunatamente i mercanti del dubbio sono sempre meno, i negazionisti si sono assottigliati in questi anni anche perché le evidenze sono sotto gli occhi di tutti.

Tornando ai giovani, queste evidenze le vivono anche i giovani, perché mi ricordo che nei primi convegni si cercava di raccontare come si viveva qualche estate fa e come invece si vive adesso. Adesso anche i giovani lo stanno sperimentando la differenza tra qualche estate fa e le estati di oggi. E’ vero che c’è una variabilità climatica, è vero anche che se si sperimentano degli effetti si riesce a dar più credito a questo.

Per esempio ho visto che ne parlano anche i divulgatori scientifici e usano youtube, e questo secondo me va benissimo perché vuol dire riuscire ad arrivare ai giovani e anche con una certa competenza perché c’è anche chi ha delle basi scientifiche.

Dal terrore all’azione

Ci si chiede “quanto manca a questa fine del mondo? Cosa si può fare per evitare questa fine del mondo?”. Perché qualcosa si può fare evidentemente, altrimenti questo terrore non ci aiuta.

Il terrore è anche di percezione, non è semplicemente quello che diciamo, ma come viene recepito e quali meccanismi innesta dentro ognuno di noi. Quindi alla fine le parole vanno dosate, vanno sicuramente targettizzate, non possiamo parlare a tutti nello stesso modo, perché sono diversi i canali, sono diversi gli interlocutori.

Ci dobbiamo anche porre il problema della reazione. Riuscire a farlo con un breve articolo, con un post, con un testo, non esaurisce il problema, non è questo che ci permette di riuscire ad intercettare tutti e a far capire quale possere un equilibrio tra questa poetica del terrore e questo ottimismo che invece è necessario, ma non deve essere tale da farci credere che sia tutto rimediabile.

La strumentalizzazione del dato fattuale su questi temi è costante, è chiaro che il dato fattuale basterebbe se ragionassimo in termini puramente cognitivi e non emotivi.

La contrapposizione ideologica e politica sui temi climatici non aiuta il dibattito pubblico, si utilizza una terminologia bellica e di contrasto che non ci aiuta a risolvere il problema, perché il tema è agire e cooperare in modalità individuale e collettiva, senza preoccuparsi del tema della colpa, che spesso ci porta a colpevolizzare qualcun altro sul tema ambientale e a sentirci innocenti su questo.

Spazio ai giovani

I movimenti giovanili degli ultimi anni, sia che nascano da uno spunto di protesta o di rabbia, sia che servano a sollevare dei temi, sicuramente sono funzionali al fatto di cambiare in qualche modo queste regole della società. E’ chiaro che serve che qualcuno lo chieda ai politici perché sentano che con questo tema possono intercettare l’elettorato e poi ne debbano dare conto.

Nel rivolgerci ai giovani secondo me è fondamentale far sentire che sono parte attiva, e quello che c’è da fare, farlo con loro, insieme a loro, per costruire insieme un nuovo modello.

La parola chiave quando si parla di cambiamenti climatici è “responsabilità”. Nel senso letterale di avere l’abilità di dare una risposta, quindi assumersi la responsabilità delle proprie azioni e delle conseguenze delle proprie azioni senza cadere nella trappola della colpevolizzazione facile.

Chiedere al singolo individuo di attivare azioni per contrastare il cambiamento climatico mentre si vedono i colossi che non fanno azioni in questo senso, è chiaro che demotiva e la dialettica si polarizza su questo.

Chiamati alla responsabilità individuale

Quello che bisogna far passare è proprio la necessità di una responsabilità individuale, come anche una responsabilità politica e una responsabilità a tutti i livelli. Questo lo abbiamo visto per esempio anche con la protezione civile, che è stato il veicolo della call to action proprio perché c’è una tendenza a lasciare che sia qualcun altro a fare, oppure a pensare che i problemi siano talmente gravi che possa risolverli qualcun altro e non noi come singoli.

Questo è un luogo comune, però secondo me c’entra nella misura in cui se tutti ragioniamo in questa maniera non si riesce a superare questo empasse.

La questione etica

Poi secondo me c’è un tema etico, al di là del tema economico che pure esiste. Il problema è che non si vuole rinunciare a dei benefici economici, o non si ha la lungimiranza di vedere le opportunità, perché se continuiamo a ragionare secondo i soliti schemi del PIL e degli investimenti economici come li si faceva in passato, non superiamo questa fase. Forse il cambio generazionale serve anche a trovare nuovi modi per affrontare la crisi, per vedere delle opportunità che chi è abituato a ragionare in un paradigma non riesce neanche a vedere.

L’idea è porre la questione in termini anche etici, quella dell’ambiente è una questione anche etica ed è una questione che riguarda tutti. Riguarda il Nord come il Sud del mondo, riguarda i paesi in via di sviluppo come quelli già sviluppati. Ci riguarda tutti. E la lezione della pandemia avrebbe dovuto insegnarci più che mai che questi temi ci riguardano tutti. Finché rimaniamo nello stesso paradigma, secondo me facciamo fatica a uscirne. Serve un discorso innovativo, un discorso nuovo.

Anche quando si parla di decrescita, dobbiamo ragionare su un nuovo linguaggio, perché la decrescita non è appealing, non è quello che vogliamo. Ha più senso parlare di sobrietà, di misura, piuttosto che di innovazione.

Bisogna parlare di “ricrescita felice”, piuttosto che di decrescita, perché secondo me il termine ricrescita ci dà l’impressione di cambiare qualcosa, non è che diminuiamo, oppure peggioriamo, o ci priviamo di qualcosa, ma ricresciamo con qualcosa di nuovo.

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