“L’inverno che ci attende sarà complicato e dirà se e quanto spazio ci sia per il riformismo italiano”.
Lo scrive Andrea Ruggeri sul Riformista: “Nel centrodestra – osserva l’editorialista – la premier Giorgia Meloni è attesa da prove impegnative: la finanziaria anzitutto, la trattativa con l’Europa sul Patto di Stabilità ma anche sulla matassa immigrazione, che in queste ore rende Lampedusa una polveriera, con Francia e Germania che chiudono le frontiere al transito dei migranti che, arrivati qui, vogliono andare da loro.
L’Europa dovrebbe mettere fine alla regola dell’unanimità prima, e dimostrarsi utile poi, altrimenti rischia di veder crescere la percezione di una sua inutilità, se non di una vera e propria ostilità, e di veder così crescere il sentimento antieuropeista di chi percepisce l’unione non come opportunità di crescita e sicurezza (che è) ma come fonte di capricci ideologici che rischiano di minare il sempre minor benessere italiano (direttive green su casa e auto, anzitutto).
Ma Meloni – osserva Ruggeri – non soffre competizione nel centrodestra (la Lega è stabile anche se la pressa sui migranti, Forza Italia non la vede nessuno se la si nota è da dimenticare, ed è pronta a calarsi le braghe persino sul decreto, grillino e retroattivo, sugli extraprofitti bancari), né tantomeno dall’opposizione.
Dove è ormai cristallizzata la crisi della sinistra, che non sa più leggere la società e la sua traiettoria, e che da più industria e lavoro passa a chiedere più reddito per chi non vuole lavorare, e si accoda alla Cgil che vuole abolire il Jobs Act che lo stesso Pd partorì.
Il tutto mentre il ceto medio chiede risposte serie.
Poco riformismo è problema enorme in una nazione che di riforme che osino ha disperato bisogno, perché soffre un oggettivo problema demografico con inevitabili riflessi professionali, occupazionali e dunque pensionistici, è afflitta da uno Stato onnipresente e inefficiente che ci blocca e costa un sacco di soldi.
comprimendo così la libertà fiscale ed economica di imprese e cittadini, che dovrebbero invece competere nella creazione di benessere con altre nazioni pragmatiche, prive di lacci burocratici, alcune delle quali sono addirittura regimi e in quanto tali drammaticamente efficienti perché prive di contrappesi popolari di cui tenere conto.
Farsi largo in questo Vietnam comunicativo non sarà facile.
Per questo i riformisti dovranno saperci fare.
Altrimenti – conclude – il conto da pagare rischia di essere salato.
Assai”.